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Santi del 21 Ottobre

Il mio Santo > I Santi di Ottobre

*Sant'Agatone d'Egitto - Eremita (21 Ottobre)

Sec. IV
Etimologia: Agatone = buono, dal greco
Santi Ilarione e Agatone
Ilarione e Agatone furono ambedue solitari nel IV secolo, in Egitto: monaci cioè che, dietro l'esempio di Sant'Antonio Abate, si ritirarono nel deserto della Tebaide, conducendovi vita di isolamento e di rigore. Nel ricordo che di loro ci è pervenuto, appaiono ambedue pieni di saggezza, di pazienza e di devozione. Da giovani, gravi e dignitosi come vecchi; da vecchi, freschi e lieti come giovani. Sempre umili e sereni, fecero guerra sempre e soltanto alle tentazioni, sia da giovani che da vecchi, e al demonio, che abita anch'esso i luoghi deserti.
Su Sant'Ilarione, esiste uno scritto di San Girolamo, nel quale si trovano episodi di freschissima suggestione. I ladroni del deserto, per esempio, si presentano un giorno a lui. Ilarione li accoglie senza timore. "Che cosa diresti se i briganti ti assalissero?", gli chiedono. "Quando non si possiede nulla - risponde, - i briganti non fanno paura". "E non avresti paura di essere ucciso?". "lo paura? Io paura? No davvero, poiché anche senza di essi dovrò morire".
Giunto a più di ottant'anni, ecco Ilarione dire alla propria anima: " Esci dunque dal corpo: che cosa temi? Esci, anima mia, perché esiti? Sono quasi sessant'anni che servi Cristo, e hai paura di morire?". Ad Agatone, che in greco vuol dire "ottimo", sono attribuiti detti spirituali e morali bellissimi. "Con il lavoro - egli asseriva - si provvede alla nostra salute e si fa guerra al demonio ".
"Siate - insegnava poi - come una colonna di pietra, che non monta in collera quando viene maltrattata, ma che neanche diventa più alta quando viene lodata".
La Leggenda Aurea narra poi altri esempi della vita virtuosa di questi eremiti. Ne basterà uno per farsi un'idea dell'incantevole clima spirituale del loro mondo. "Una volta - si legge - disse l'uno all'altro: - Abbiamo briga insieme, come hanno gli uomini del mondo? - Rispuose l'altro: - Io non so come la briga nasce. - Disse quel frate: - Poni fra te e me uno mattoncello; e io dirò: Mio è. Tu dirai: "Anzi è mio". E quindi nascerà la briga.
"Sì che fu posto il mattone in mezzo, e disse l'uno: - Egli è mio. - Disse l'altro: - No, anzi è mio. - Rispuose il primo: - Ed elli sia tuo; tollilo, e va' con Dio. - Partirono insieme, e non poterono contendere". Uomini pacifici, giusti, mansueti, sullo sfondo dei deserto. Uomini irsuti e barbuti di fuori, come fiere; ma di dentro, teneri e delicati più che bambini.

(Fonte: Archivio Parrocchia)
Giaculatoria - Sant'Agatone d'Egitto, pregate per noi.

*Beato Antonio Gonzàlez Alonso - Giovane laico, Martire (21 Ottobre e 11 Settembre)

Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli di Nembra" - Celebrazioni singole (21 ottobre)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Nembra, Spagna, 11 aprile 1912 - Oviedo, Spagna, 11 settembre 1936
Antonio González Alonso, nato a Nembra in Spagna, sentì nell’infanzia la vocazione alla vita consacrata: nel 1923 entrò quindi nella scuola apostolica dei Domenicani a La Mejorada; nel 1927 vestì l’abito religioso e iniziò il noviziato, che concluse con la professione temporanea.
Malato di tubercolosi, dovette lasciare l’Ordine, dato che non migliorava in breve tempo. Una volta ripreso, proseguì gli studi per diventare maestro e visse da ottimo cristiano.
Arrestato nel corso della guerra civile spagnola, rifiutò di distruggere l’immagine del Sacro Cuore di Gesù che stava nella chiesa di Nembra e la mensa dell’altare. Fu ucciso l’11 settembre 1936, a 24 anni.
Insieme al parroco di San Giacomo apostolo a Nembra, Genaro Fueyo Castañón, ucciso il 21 ottobre 1936 con i suoi parrocchiani Segundo Alonso González e Isidro Fernández Cordero, è stato beatificato nella cattedrale di Oviedo l’8 ottobre 2016.
La sua memoria liturgica, per la diocesi di Oviedo, è stata fissata al 21 ottobre, giorno della nascita al Cielo degli altri tre martiri.
La sua famiglia
Antonio González Alonso nacque l’11 aprile 1912 a Nembra, parte della Comunità autonoma delle Asturie, in Spagna. I suoi genitori, Severino González e Josefa Alonso, ebbero dieci figli, due dei quali morirono in tenera età; lui era l’ottavo.
La famiglia si manteneva tramite il lavoro agricolo e l’allevamento dei bovini. Uno zio paterno di Antonio era religioso Domenicano, missionario nelle Filippine: questo segnò particolarmente la sua vocazione.
Severino era amministratore della confraternita delle Anime del Purgatorio, nonché membro dell’associazione dell’Adorazione Eucaristica notturna: vi fece entrare tutti i suoi figli, man mano che crescevano.
Tre di loro seguirono le orme dello zio e divennero Domenicani: Julio, missionario nelle Filippine; Jesús, missionario nel Texas; Severina, che entrò tra le Domenicane dell’Annunciata a Gijón.
Giovane domenicano
Anche Antonio si sentiva chiamato alla stessa strada: nel 1923 entrò nella scuola apostolica (la struttura per i giovanissimi aspiranti) dei Domenicani a La Mejorada, presso Valladolid, dove già studiava suo fratello Jesús.
Frequentò fino al 1927 il corso di studi in Lettere con risultati molto buoni, poi iniziò il postulandato. Passò quindi al convento di San Tommaso ad Ávila, dove vestì l’abito, compì il noviziato e fece la professione temporanea.
Non più religioso, ma sempre credente
Tuttavia, si ammalò di tubercolosi e dovette rientrare in famiglia, almeno temporaneamente, affinché si rimettesse in salute. Dato che non migliorava in breve tempo, giunse a prendere la decisione, dietro consiglio dei medici e dei confratelli, di dover lasciare la vita domenicana.
Non smise però di essere un buon credente: ogni giorno partecipava alla Messa e faceva da ministrante. Rimase membro dell’Adorazione notturna e passò a dirigere la sezione dei Tarcisii, per bambini e giovani. Decise poi d’iscriversi alla Scuola Normale di Oviedo, nel 1935, per frequentare i corsi di Magistero.
Un’opportunità per essere martire
Il 20 luglio 1936, appena quattro giorni dopo l’inizio della guerra civile spagnola, Antonio venne fatto prigioniero insieme a suo fratello Cristóbal.
In seguito gli disse: «Io ho un’occasione per dare la mia vita a Dio in qualità di martire; non vorrei disprezzare questa grazia, ma tu fa’ il possibile per continuare a vivere e a badare ai nostri genitori. Io dal cielo penso che pregherò molto per la nostra famiglia».
I carcerieri l’obbligarono quindi a fare a pezzi alcuni simboli religiosi, tra cui il quadro del Sacro Cuore di Gesù venerato nella chiesa parrocchiale e la pietra dell’altare: si rifiutò, per non andare contro la propria coscienza.
Gli offrirono quindi ventiquattr’ore per ripensarci, altrimenti l’avrebbero assassinato. Trascorso quel tempo, non mutò parere: "Ci ho pensato bene e sono giunto alla conclusione che, in coscienza, non posso ne devo calpestare questo quadro per quello che rappresenta".
La morte
L’11 settembre 1936 venne estratto dal luogo della prigionia e condotto in automobile a Moreda. Lungo il tragitto passò di fronte a casa sua, dove sua madre era seduta davanti alla porta. Le gridò: "Addio, madre, ci vediamo in cielo". Lo fece come poté, visto che, stando a quanto ha testimoniato l’autista della vettura, gli era stata tagliata la lingua, dato che non volle bestemmiare.
Venne condotto nella località di Puerto de San Emiliano, tra Mieres e Sama. L’autista non sentì nemmeno uno sparo, per cui è plausibile che sia stato ucciso a botte e gettato in un pozzo. Il suo corpo non venne ritrovato, ma si suppone che siano stati ritrovati e sepolti nel cimitero di Sama. Antonio aveva 24 anni.
Quando dissero a sua madre che gli esecutori del suo omicidio erano stati catturati, chiedendole cos’avrebbe voluto che facessero loro, rispose: "Voglio vedermi con loro e col mio Antonio in cielo".
La causa di beatificazione
La causa di beatificazione di Antonio è stata unita a quella del parroco di San Giacomo apostolo a Nembra, Genaro Fueyo Castañón, ucciso il 21 ottobre 1936 insieme ai suoi parrocchiani Segundo Alonso González e Isidro Fernández Cordero.
Il processo diocesano congiunto si è quindi svolto nella diocesi di Oviedo, ottenuto il nulla osta da parte della Santa Sede l’11 marzo 1997.
L’inchiesta diocesana è stata convalidata il 26 aprile 2002, mentre la "Positio super martyrio" è stata consegnata nel 2007.
Il 21 gennaio 2016, ricevendo in udienza il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinal Angelo Amato, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui la morte di don Genaro e di Segundo, Isidro e Antonio era dichiarata martirio in odio alla fede cattolica.
La loro beatificazione si è svolta nella cattedrale di Oviedo l’8 ottobre 2016, prima celebrazione del genere nel territorio diocesano, presieduta dal cardinal Amato come delegato del Santo Padre. La memoria liturgica, per la diocesi di Oviedo, è stata fissata al 21 ottobre, giorno della nascita al Cielo della maggior parte di questi martiri.
(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Antonio Gonzàlez Alonso, pregate per noi.

*Sante Artemia e Isala - Vergini e Martiri (21 ottobre)

Sulle Sante Artemia e Isala non sappiamo nulla. Si crede fossero compagne di martirio di Sant’Orsola.
Si narra che facevano parte delle migliaia di vergini, la leggenda parla di undicimila, che Sant’Orsola esortò alla fermezza e che vennero trucidate dai barbari in un solo giorno.
Si narra che le loro reliquie furono trasportate a Salisburgo nel 1385 e deposte nella chiesa di San Giovanni.
Attualmente, non vi è traccia nemmeno delle loro reliquie, perché scomparvero durante la rivoluzione francese.
Le Sante Artemia e Isala, erano festeggiate con culto locale nel giorno 21 ottobre.

(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sante Artemia e Isala, pregate per noi.

*San Bertoldo di Parma (21 ottobre)

Parma, 1072 c. - Parma, 1106
Etimologia: Bertoldo = famoso, illustre, splendente, dall'antico germanico
Il Santo - non unico di questo nome nei calendari - visse a Parma, e mori nel 1106. Non ebbe nulla in comune con il goffo contadino pavese, arguto e astuto, narrato da Giulio Cesare Croce nel famoso libro di Bertoldo.
Il Santo invece discendeva da una famiglia straniera: inglese il padre, Abbondio, brèttone la madre, Berta. Erano giunti in Italia, poverissimi artigiani, fuggendo l'invasione normanna dell'Inghilterra, e in un primo tempo si stabilirono a Milano, dove Abbondio esercitò il mestiere del calzolaio, ma con poca o punta fortuna.
Passarono allora di là dal Po, fissandosi a Parma, dove nacque, verso il 1072, il loro unico figlio, Bertoldo.
A sette anni, il ragazzo lavorava già nella bottega paterna, aiutando nello stentato mestiere. Ma a dodici, Bertoldo abbandonò lesina e trincetto, per servire il Signore con pari zelo e immutata umiltà.
Dovette vincere la resistenza dei genitori, del padre soprattutto, che forse nutriva per quell'unico figlio l'ambizione di tutto quanto era stato a lui negato dalla vita.
Ma la vocazione di Bertoldo, pur nella sua semplicità, fu più forte delle ambizioni paterne, e il ragazzo poté così cambiare la bottega del calzolaio per la chiesa parmense di Sant'Alessandro, presso la quale esisteva un monastero di monache Benedettine.
Nella storia degli Ordini religiosi, Bertoldo è considerato così un precursore di quei conversi, o fratelli laici, detti Oblati Regolari, che divennero più tardi comuni - e ancora lo sono - presso le abbazie e i monasteri benedettini. Le sue mansioni, nella chiesa di Sant'Alessandro, furono quelle di un sagrestano; un sagrestano che faceva parte della comunità, e ne viveva la Regola con puntualissimo zelo.
Viveva alla base del campanile, ed era desto prima dell'alba, per pregare davanti all'altare, dopo aver tutto preparato per le prime Messe. Indossava un cilicio, e ogni venerdì si flagellava. Sempre obbediente, umile e sereno, le monache lo additavano addirittura come modello alle giovani novizie.
Con il permesso del Superiore, fu pellegrino a Roma e poi in Francia, dove visitò l'ospedale di Sant'Antonio Abate, lasciandosi dietro il ricordo di prodigiose guarigioni.
E umili, toccanti miracoli gli vennero attribuiti anche dopo il ritorno a Parma, dove morì ancora giovane, mentre pregava, salutato da un insistente stormo di campane.
(Fonte: Archivio della Parrocchia)
Giaculatoria - San Bertoldo di Parma, pregate per noi.

*Beato Carlo I d’Asburgo - Imperatore e Re (21 ottobre)

Persenburg (Austria), 17 agosto 1887 – Funchal - Madeira (Portogallo), 1 aprile 1922
Nacque nel 1887 in Austria, Carlo ebbe un grande amore per la Santa Eucaristia e per il Cuore di Gesù.
Nel 1911 sposò la Principessa Zita di Borbone e, mentre imperversava la Prima Guerra Mondiale, con la morte dell'Imperatore Francesco Giuseppe, divenne Imperatore d'Austria.
Anche questo compito venne visto da Carlo come una via per seguire Cristo: nell'amore per i popoli a lui affidati, nella cura per il loro bene e nel dono della sua vita per loro.
Emblema: Corona, Scettro, Globo, Spada
Carlo Francesco Giuseppe di Asburgo Lorena, nacque nel castello di Persenburg (Austria) il 17 agosto 1887, dall’arciduca Ottone d’Austria e dall’arciduchessa Maria Giuseppina di Sassonia; ed era pronipote dell’imperatore Francesco Giuseppe I (1830-1916).
La buona e devota madre, influenzò fortemente l’animo del giovane principe; ebbe una formazione umanistica sotto la guida di eccellenti precettori; poi proseguì i suoi studi presso il famoso “Schottengymnasium” dei Benedettini di Vienna, dove dai compagni veniva chiamato ‘arcicarlo’.
Seguendo le tradizioni della dinastia, finiti gli studi liceali, Carlo divenne ufficiale di cavalleria; uomo di viva intelligenza e dotato di un’enorme memoria, ricevette una formazione universitaria e l’istruzione di Stato Maggiore; fu dislocato in piccole guarnigioni della Baviera e della Galizia e poi a
Vienna.
Sposò nel 1911 la principessa Zita di Borbone - Parma, dalla loro unione nacquero cinque figli maschi e tre figlie.
Per la serie di disgrazie familiari che colpì la dinastia di Francesco Giuseppe, il pronipote Carlo venne a trovarsi in linea di successione, ad essere inaspettatamente erede al trono imperiale.
Nel 1915 l’anziano imperatore cercò di introdurre Carlo negli affari di governo; senza coinvolgerlo però in settori essenziali e vitali.
Partecipò alla Prima Guerra Mondiale, comandando il XX Corpo dei Cacciatori imperiali “Edelweiss”, dimostrando le sue capacità militari e di coraggio fisico-morale; poi gli fu dato il comando della XII Armata in Galizia, poi ancora quello delle Armate contro i russi diretti da Brusilov, la cui offensiva venne fermata.
Dopo l’entrata in guerra della Romania, Carlo vinse la battaglia di Hermannstadt e si accingeva a conquistare anche Bucarest; le sue qualità militari gli vennero riconosciute
dal suo Capo di Stato Maggiore, il prussiano Hans von Seeckt, che lo considerava un bigotto.
Il 21 novembre 1916 morì l’imperatore Francesco Giuseppe I e Carlo in piena Guerra Mondiale, divenne imperatore d’Austria (Carlo I) e re d’Ungheria (Carlo IV).
Sin da fanciullo aveva dimostrato una particolare inclinazione verso la religione e la preghiera, si sentiva chiamato alla carità per il prossimo e fin da ragazzo raccoglieva soldi per i poveri.
Da giovane ufficiale in Galizia, cercò sempre con successo di elevare la vita morale dei suoi soldati, i quali vedevano in lui il modello dell’uomo cattolico.
I suoi principi religiosi lo portarono, da imperatore, a sostituire il feldmaresciallo Conrad, perché agnostico e che all’età di 64 anni aveva sposato una donna divorziata, inoltre aveva usato indiscriminatamente le corti marziali, alienando i cechi dalla Casa d’Austria.
Benché fornito di ottima preparazione militare, fu l’unico fra i belligeranti ad accogliere le iniziative di pace di Papa Benedetto XV; del resto sin dall’inizio del suo governo era deciso a riportare la pace ai suoi popoli.
Intraprese varie iniziative di pacificazione con le altre potenze, senza riuscire a prevalere però nella cerchia dei generali e statisti tedeschi; non andarono in porto nemmeno due tentativi di pace
separata, a causa della fiera resistenza del governo italiano e che si seppero poi in giro.
Così da parte degli alleati, da parte tedesca e da parte di austriaci pangermanici, fu imbastita una enorme propaganda contro il giovane sovrano, il quale con calunnie venne accusato di essere un debole, un donnaiolo, incompetente, ubriacone e molto dipendente dalla volontà della moglie ‘italiana’.
Non riuscì a realizzare una riforma costituzionale dello Stato in forma confederale, per l’opposizione dei nazionalisti austro-pangermanisti e dei circoli governanti ungheresi, capeggiati dal conte Tisza, i quali si rifiutarono in modo assoluto, di dare delle concessioni agli oltre otto milioni di non magiari, presenti in Ungheria.
Attorno a sé non trovò nessun uomo politico, disposto ad appoggiare i suoi piani di riforma, anzi il ministro degli esteri conte Czernin, ligio alla prepotenza germanica, entrò ben presto in piena divergenza con il suo sovrano.
L’unico consigliere politico di cui dispose, il conte Polzer-Hoditz, divenne bersaglio e vittima di una ben orchestrata campagna denigratoria.
Il 4 novembre 1918, a seguito del crollo militare sul fronte italiano, si firmò l’armistizio con l’Italia e come conseguenza la monarchia danubiana decadde e in Austria, il 12 novembre, venne proclamata la Repubblica Austriaca.
Carlo si ritirò dapprima in Ungheria, rinunciando ad ogni partecipazione agli affari di Stato, ma senza abdicare come sovrano; poi fino al 24 marzo 1919 visse con la famiglia nel castello di Eckartsan presso Vienna, da dove dovette trasferirsi, sotto protezione britannica in Svizzera; ritenendosi fedele al giuramento fatto all’incoronazione di re dell’Ungheria, fece due tentativi di riprendere il potere in questo Stato, ambedue nel 1921.
Ma essi fallirono per l’ostilità di alcune potenze della Piccola Intesa, contrarie ad una restaurazione, nonostante le simpatie verso la sua persona, mostrate dalla Francia e dalla Romania;
inoltre il reggente d’Ungheria Nicola von Horthy, si mise contro il re legittimo, nonostante il giuramento che lo legava al sovrano esiliato.
I tentativi di riprendere il trono, furono espletati per sua volontà, senza usare la forza militare, risparmiando così un alto costo di vite umane; tale atteggiamento gli costò la corona.
Fu fatto prigioniero dal governo del reggente Horthy e consegnato agli inglesi, i quali lo condussero insieme alla moglie Zita ed ai figli a Funchal nell’isola portoghese di Madeira.
Senza risorse economiche, la famiglia dovette vivere in uno stato precario, lasciato presto l’albergo che li ospitava, si sistemarono in una villa isolata denominata ‘Villa Quinta do Monte’, che non poteva essere riscaldata.
A causa del clima umido e freddo del monte, Carlo si ammalò di una complicata polmonite; il suo cuore già debole non superò la malattia e quindi morì il 1° aprile 1922; venne sepolto nel santuario di ‘Nossa Senhora do Monte’.
Sia nella vita privata che in quella pubblica, Carlo aveva cercato in modo sempre più perfetto di ubbidire alle leggi di Dio e della Chiesa, vivendo in modo straordinario le virtù cristiane.
Con coraggio straordinario soppresse il duello, disposizione che lo rese fortemente impopolare negli ambienti militari; unito da devozione filiale alla persona del Sommo Pontefice, dimostrava una ubbidienza spirituale al suo magistero.
Dotato di una fortissima coscienza di responsabilità sociale, conduceva anche una vita ricca di preghiera che ne tratteggiava l’ascetica.
Divenuto sovrano, soppresse le manifestazioni sfarzose della vita di corte, abolì i supplementi per le cariche supreme della corte imperiale-reale, introducendo uno stile di vita decisamente sobrio.
Tutta una serie di iniziative sociali a favore dei suoi sudditi, specie i più poveri, furono interrotte per la caduta della monarchia, ma anche nella condizione di esiliato, divenne popolare per il suo senso della giustizia e per la cordialità con i dipendenti, certamente non usuale nella severa corte asburgica.
Ultimo sovrano della duplice monarchia austro-ungarica, ne dovette subire il crollo, pur essendo tanto diverso dai suoi predecessori, per la sua religiosità, dirittura morale, visione sociale e riforma di uno Stato assolutista in uno confederale.
La Radio Vaticana, il 3 novembre 1949 annunziava l’apertura del processo di beatificazione, gli atti furono consegnati alla Congregazione dei Riti il 22 maggio 1954; a maggio 2003 sono state riconosciute le ‘virtù eroiche’ e quindi il titolo di venerabile.
É stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 2004.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Carlo I d’Asburgo, pregate per noi.

*Santa Celina - Madre di San Remigio (21 ottobre)

Etimologia: Celina = abitatore del cielo, dal latino
Martirologio Romano:
Presso Laon sempre in Francia, Santa Cilinia, madre dei Santi vescovi Princípio di Soissons e Remigio di Reims.
Scarse e leggendarie sono le notizie intorno a Celina, nota soprattutto perché fu la madre di San Remigio, vescovo di Reims.
Secondo il racconto dello pseudoFortunato, ripreso e ampliato più tardi da Incmaro di Reims, Celina dette miracolosamente alla luce Remigio, perché ormai in età assai avanzata; subito dopo rese la vista all'eremita Montano, che per tre volte aveva
profetizzato l'avvento del Santo vescovo, spalmando con alcune gocce di latte i suoi occhi senza luce.
L'anno 458 è il terminus post quem si deve porre la morte della santa; fu sepolta là dove era vissuta, nei pressi di Laon, probabilmente a Cerny; ma le sue reliquie andarono distrutte durante la Rivoluzione francese.
Il suo culto a Laon e a Reims nacque, secondo le fonti, assai tardi.
Nel Martirologio Romano è iscritta al 21 ottobre, giorno in cui si celebra la sua festa a Reims.
(Autore: Roger Desreumaux – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Celina, pregate per noi.

*Santa Celina di Meaux - Vergine (21 ottobre)

Nata da nobile famiglia, desiderò consacrarsi a Dio, malgrado l'ambiente che la circondava. L'occasione di abbracciare la vita religiosa le fu offerta dall'incontro con Santa Genoveffa, che era di passaggio nella sua città, Meaux. Celina, dopo aver vinto la resistenza del suo fidanzato, si rifugiò con Genoveffa nella cattedrale, le cui porte miracolosamente si aprirono e si richiusero dietro di loro.
Da allora Celina, preso l'abito delle vergini, si consacrò interamente alle opere di carità. Nessun documento contemporaneo, però, ci permette di verificare l'autenticità di questi episodi biografici che furono dapprima raccolti da Usuardo, ripresi poi da Fulcanio di Meaux nell'undicesimo secolo e, infine, citati dal Tillemont. Morì dopo il 480 e fu sepolta presso Meaux. Le sue reliquie, che durante la Rivoluzione francese furono nascoste al riparo, si trovano attualmente nella cattedrale di Meaux. (Avvenire)
Etimologia: Celina = abitatore del cielo, dal latino
Nata da nobile famiglia, desiderò consacrarsi a Dio, malgrado l'ambiente che la circondava. L'occasione di abbracciare la vita religiosa le fu offerta dall'incontro con s. Genoveffa, che era di
passaggio nella sua città, Meaux. Celina, opposta resistenza al suo fidanzato che tentava di trattenerla. si rifugiò con Santa Genoveffa nella cattedrale, le cui porte miracolosamente si aprirono e si richiusero dietro di loro.
Da allora Celina, preso l'abito delle vergini, si consacrò interamente alle opere di carità. Nessun documento contemporaneo, però, ci permette di verificare l'autenticità di questi episodi biografici che furono dapprima raccolti da Usuardo, ripresi poi da Fulcanio di Meaux nel sec. XI e, infine, citati dal Tillemont.
Morì dopo il 480 e fu sepolta presso Meaux; le sue reliquie, che durante la Rivoluzione furono nascoste al riparo, si trovano attualmente nella cattedrale di Meaux.
La festa della santa Celina è celebrata il 21 ottobre, giorno nel quale è ricordata anche l'omonima Santa Celina, madre di San Remigio; la coincidenza di questa data e l'imprecisione delle fonti non permettono di decidere se il culto di Celina, localizzato a Meaux e risalente lontano nel tempo, sia tributato a Celina, amica di Santa Genoveffa, o alla sua omonima, madre del santo vescovo di Reims.

(Autore: René Wasselynck - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santa Celina di Meaux, pregate per noi.

*Santa Cordula - Martire a Colonia (21 ottobre)

Bretagna, ? – Colonia, 304 ca.
Santa Cordula, compagna di Sant'Orsola, segue nell’agiografia il racconto leggendario del martirio della grande vergine brettone. Forse non vi è santa più rappresentata nell’arte dei secoli passati, di Sant'Orsola, il suo martirio subìto insieme alle numerose compagne, ha sempre stimolato la fantasia degli artisti.
Secondo una prima ‘passio’ scritta intorno al 975, la pia e bella figlia di un re brettone, aveva consacrato a Dio la sua verginità, l’epoca della sua vita è il IV secolo; ma fu chiesta in matrimonio da Erterio, figlio di un re pagano. Poiché un suo rifiuto avrebbe provocato una guerra, Orsola consigliata da una visione angelica, chiese una dilazione di tre anni, facendosi promettere dal promesso sposo, che si sarebbe convertito al cristianesimo.
Trascorsi i tre anni, Orsola fuggì con una flotta di undici triremi, insieme ad undicimila compagne. Una tempesta spinse le navi ad approdare alla foce del fiume Waal; le vergini proseguirono il viaggio lungo il fiume, fino a Colonia.
La leggenda racconta ancora, che incoraggiate da un angelo, decisero di fare un pellegrinaggio a Roma, quindi navigarono fino a Basilea, continuando il viaggio a piedi.
Nello stesso modo ritornarono a Colonia, che nel frattempo era stata conquistata dagli Unni, i quali le uccisero tutte, Orsola, che aveva rifiutato di sposare il capo dei barbari, fu trafitta con una freccia; morirono tutte per la fede e per la purezza.
L’eccidio provocò la reazione dei nemici degli Unni, i quali dopo questo misfatto fuggirono; gli abitanti di Colonia recuperarono i corpi ed un uomo venuto dall’Oriente certo Clematius, costruì sul
luogo del martirio una basilica consacrata alle vergini; una lapide marmorea giudicata dagli esperti autentica, attesta la costruzione a proprie spese della basilica, da parte di Clematius.
L’importanza di questa iscrizione assegnata al secolo IV-V è fondamentale per attestare l’autenticità e la realtà del martirio a Colonia di un gruppo di vergini cristiane, la cui epoca del martirio, si può inquadrare nella persecuzione di Diocleziano (304); a questo punto rimane da chiarire il punto più controverso e direi più incredibile, cioè il numero di undicimila martiri; la tradizione primitiva ne parla in modo imprecisato, ma fin dal secolo VIII viene indicato il numero di undici, che poi divenne undicimila; si pensa che il numero romano XI, fu erroneamente letto come undicimila per esservi stata sovrapposta una lineetta trasversale, che sta ad indicare le migliaia nella numerazione romana; ad ogni modo la consistenza del gruppo è rimasta incerta.
Per i nomi, Orsola compare per la prima volta nel secolo IX e successivamente ne vengono altri come Brittola, Martha, Saula, Sambatia, Saturnina, Gregoria, Pinnosa, Palladia, Cordula.
Quando nel 1106 fu ampliata la città di Colonia, si trovò nelle vicinanze della chiesa di s. Orsola, un cimitero, le ossa lì rinvenute furono ritenute quelle delle martiri vergini. Il ritrovamento delle supposte reliquie di Sant'Orsola e compagne, diede luogo a diverse traslazioni in tante Nazioni europee, come Germania, Italia, Spagna, Francia, Danimarca, Polonia e altre, dove il culto si diffuse rapidamente.
Ed a tutto questo va collegato il culto per Santa Cordula, che era venerata a Colonia, Vicogne
(Valenciennes), a Marchiennes nella diocesi di Cambrai-Arras, a Osnabrück, a Tortosa in Spagna.
A Colonia il culto è conosciuto sin dal secolo X; le sue reliquie furono scoperte, perdute, ritrovate e trasferite tanta volte; tanto è vero che nel secolo XVII ben dodici chiese asserivano di possedere il suo corpo o il suo capo, si pensò anche che nel gruppo di martiri vi fossero più sante con questo nome, ma ciò non è confortato da nessuna notizia, Santa Cordula dovrebbe essere una sola.
Come si vede sia per Cordula che per tutte le altre compagne, conosciute o no, non si sa niente della loro vita personale precedente il loro martirio. A conclusione, aggiungiamo che nella Cappella delle Reliquie del Tempio Malatestiano di Rimini, esiste un busto reliquiario di Santa Cordula, di anonimo del sec. XV; a Lanciano credo che vi sia qualche reliquia nella cattedrale, non l’intero corpo, oltretutto quasi impossibile dato il tempo trascorso.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santa Cordula, pregate per noi.

*San Dasio, Zotico e Caio (Gaio) - Martiri a Nicomedia (21 ottobre)

† Nicomedia, 303
Martirologio Romano: A Nicomedia in Bitinia, nell’odierna Turchia, santi Dasio, Zotico e Caio, che, domestici di Diocleziano, ingiustamente accusati dell’incendio del palazzo imperiale, furono condannati a morte e affogati in mare con pesanti massi legati al collo.
Il nome Gaio o Gaia (specie il femminile è uno dei nomi nuovi più usati) ha le sue origini antichissime; Gaia veniva attribuito in pratica come “primo nome” a tutte le cittadine di Roma.
La forma originale latina è Gaius, ma le sue radici più antiche non sono conosciute; il significato attuale è evidente: gaio, allegro, ma bisogna dire che questo significato non corrisponde
immediatamente a quello originale latino, ma ci perviene attraverso la mediazione del provenzale ‘gai’, ‘gazza’ (nel senso di “allegro come una gazza”).
Ci sono 5-6 santi con questo nome e tutti martiri dei primi tempi del cristianesimo, quello che si celebra il 21 ottobre, fa parte di un gruppo di tre martiri a Nicomedia, Gaio, Dasio e Zotico.
Prima di essere inseriti nel ‘Martirologio Romano’ alla stessa data, essi erano menzionati nel ‘Martirologio Siriaco’ del secolo IV senza indicazione del martirio; poi con l’indicazione di “martiri a Nicomedia”, sono menzionati nel ‘Martirologio Geronimiano’, inoltre esiste anche una breve ‘passio’ greca, da cui sono tratte le poche notizie riportate nei sinassari bizantini.
Si ritiene che Gaio, Dasio e Zotico fossero domestici dell’imperatore Diocleziano (243-313) nella sua sede imperiale di Nicomedia (antica città della Bitinia, odierna Izmit, capitale del regno di Bitinia e poi dal 74 a.C. capitale della provincia romana di Ponto e Bitinia).
I tre domestici cristiani furono fra le prime vittime della persecuzione, che Diocleziano nel 303, proclamò con un editto contro i cristiani, i quali erano ritenuti responsabili dell’incendio del palazzo imperiale; secondo quanto raccontano anche gli storici antichi Lattanzio ed Eusebio (IV sec.). I tre domestici, di cui non si sa altro della loro vita, come del resto per la gran parte dei primi martiri, furono annegati in mare, per la loro fedeltà a Cristo. Deve essere stato un martirio eclatante, se i loro nomi pur essendo solo dei semplici domestici, sono pervenuti nei secoli fino a noi.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Dasio, Zotico e Caio, pregate per noi.

*Beato Genaro Fueyo Castañón - Sacerdote e Martire (21 ottobre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli di Nembra" - Celebrazioni singole (21 ottobre)
"Santi, Beati e Servi di Dio" Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Linares del Puerto, Spagna, 23 gennaio 1864 – Nembra, Spagna, 21 ottobre 1936
Genaro Fueyo Castañón, sacerdote della diocesi di Oviedo, fu parroco della parrocchia di San Giacomo apostolo a Nembra, dove si distinse per la devozione all’Eucaristia, la carità verso i poveri e la promozione delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Durante la guerra civile spagnola, nell’ottobre 1936, fu arrestato e in seguito, il 21 ottobre, condotto nella sua chiesa parrocchiale, dov’erano stati portati anche due suoi parrocchiani, segundo Alonso González e Isidro Fernández Cordero.
Don Genaro chiese di essere l’ultimo a morire, per poter assolvere e incoraggiare gli altri due. Come loro, fu ucciso a colpi di coltello; aveva 72 anni. Insieme ai suoi compagni e al giovane Antonio González Alonso, è stato beatificato nella cattedrale di Oviedo l’8 ottobre 2016. La sua memoria liturgica per la diocesi di Oviedo cade il 21 ottobre, giorno della sua nascita al Cielo.
Nascita e vocazione
Genaro Fueyo Castañón nacque il 23 gennaio 1864 a Linares, all’epoca quartiere di Congostinas del Puerto, nella Comunità autonoma delle Asturie, in Spagna. Era figlio di Ramón Fueyo Barros e Isabel Castañón Díaz e aveva cinque fratelli, uno dei quali, Estanislao, entrò nel monastero cistercense di San Isidro de Dueñas (Palencia).
Genaro entrò nel Seminario conciliare di Santa Maria dell’Assunzione, ospitato nel convento di San Domenico a Oviedo, fondato nel 1851 dal vescovo monsignor Ignacio Díaz Caneja. Dopo l’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 17 dicembre 1887, ebbe il suo primo incarico come vicario parrocchiale a
Jomezana, poi passò alla parrocchia di Congostinas, la sua città natale, dove risiedette fino al 1899 come economo e parroco.
Parroco di San Giacomo a Nembra
L’anno prima la parrocchia di San Giacomo apostolo a Nembra era risultata vacante: don Genaro vi venne destinato per nomina del Capitolo della Cattedrale di Oviedo. Nembra contava all’epoca 171 famiglie e circa 800 abitanti, che impararono presto ad apprezzare don Genaro per il suo buon carattere e per il suo sottile senso dell’umorismo, che dissimulava sotto un’apparenza seria.
Condivideva tutti i propri beni con i poveri e, dal pulpito, esortava i suoi parrocchiani a fare altrettanto. Dal canto suo, aiutava le famiglie in difficoltà, cercava lavoro ai disoccupati e curava attentamente le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata: più di cento tra i suoi giovani abbracciarono la vita consacrata.
Diede anche impulso all’Adorazione Eucaristica notturna e lui stesso, una volta al mese, trascorreva un’intera notte con chi era di turno. Infine, fu molto attento ai minatori, che svolgevano le riunioni del loro sindacato cattolico in una sala della parrocchia. Per i loro figli e per quelli dei contadini organizzò anche una scuola gratuita.
A rischio della vita
Il suo operato, comunque, iniziava ad essere malvisto dagli anarchici. Già durante la rivoluzione dell’ottobre 1934, anticipo della guerra civile, rischiò la vita, ma alcune donne scoprirono i piani di chi voleva ucciderlo e lo misero all’erta. Don Genaro si rifugiò a casa di suo fratello Cesáreo, dove passò inosservato.
Venne tuttavia catturato nell’ottobre 1936, quattro mesi dopo l’inizio della guerra civile, e rinchiuso nel carcere di Moreda. La notte del 21 ottobre fu condotto nella sua chiesa di San Giacomo, spinto dentro a viva forza da quegli stessi uomini che aveva battezzato personalmente e che aveva preparato alla Prima Comunione.
Il martirio
Si trovò di fronte due parrocchiani, Segundo Alonso González, 48 anni, e Isidro Fernández
Cordero, di 33, membri del sindacato dei minatori, intenti a scavare delle fosse nel posto dove di solito partecipavano insieme alla Messa, di fronte all’altare dei Santi Martiri.
Tuttavia, non avevano consentito che don Genaro scavasse per sé, visto che era molto anziano: gli avevano già preparato la sepoltura di fronte all’altare maggiore, come gli conveniva essendo sacerdote.
Don Genaro cercò di mantenersi sereno e chiese di essere l’ultimo a morire, così da poter impartire agli altri l’ultima assoluzione e prepararli alla morte. Tuttavia, quando li vide uccisi a colpi di coltello, dissanguati e decapitati, poi gettati dentro le fosse, ebbe uno svenimento, ma si riprese subito.
Di lì a poco fu il suo turno. Al vedere quello che gli stavano per fare, dichiarò che non riusciva a credere che i suoi stessi parrocchiani volessero ucciderlo, ma chiedeva ugualmente perdono a Dio per loro. Fu quindi messo a morte con un colpo di pistola alla tempia.
Un anno dopo l’accaduto, i corpi dei tre furono recuperati e riconosciuti, perché praticamente incorrotti, dai rispettivi familiari.
La causa di beatificazione
La causa di beatificazione di don Genaro e dei suoi due compagni, cui è stato unito il giovane Antonio González Alonso, ucciso l’11 settembre 1936, si è svolta nella diocesi di Oviedo, ottenuto il nulla osta da parte della Santa Sede l’11 marzo 1997. L’inchiesta diocesana è stata convalidata il 26 aprile 2002, mentre la “Positio super martyrio” è stata consegnata nel 2007.
Il 21 gennaio 2016, ricevendo in udienza il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il Cardinal Angelo Amato, Papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui la morte di don Genaro e di Segundo, Isidro e Antonio era dichiarata martirio in odio alla fede cattolica.
La loro beatificazione si è svolta nella cattedrale di Oviedo l’8 ottobre 2016, prima celebrazione del genere nel territorio diocesano, presieduta dal cardinal Amato come delegato del Santo Padre. La memoria liturgica, per la diocesi di Oviedo, è stata fissata al 21 ottobre, giorno della nascita al Cielo della maggior parte di questi martiri.

(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Genaro Fueyo Castañón, pregate per noi.

*Beato Giuliano Nakaura - Sacerdote Geesuita, Martire (21 ottobre)
Scheda del gruppo a cui appartiene:

“Beati Martiri Giapponesi” Beatificati nel 1867-1989-2008
Nakaura, Giappone, ca. 1567 – Nishizaka, Giappone, 21 ottobre 1633
Sacerdote gesuita indigeno del Giappone, Giuliano Nakaura subì il martirio nella sua patria nel contesto di feroci ondate persecutorie contro i cristiani.
In seguito ad un rapido processo iniziato con il Nulla Osta della Santa Sede concesso in data 2 settembre 1994, è stato riconosciuto il suo martirio il 1° luglio 2007 ed è stato beatificato il 24 novembre 2008, sotto il pontificato di Papa Benedetto XVI, unitamente ad altri 187 martiri giapponesi.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuliano Nakaura, pregate per noi.

*Beato Giuseppe Puglisi - Sacerdote e Martire (21 ottobre)

Palermo, 15 settembre 1937 – 15 settembre 1993
Giuseppe Puglisi nasce a Palermo, nel quartiere Brancaccio, il 15 settembre 1937, figlio di Carmelo Puglisi, calzolaio, e di Giuseppa Fana, sarta. Entrato nel seminario diocesano di Palermo nel 1953, viene ordinato sacerdote il 2 luglio 1960. Riceve quindi i primi incarichi come vicario parrocchiale e vicerettore del seminario minore. Si occupa anche dell’insegnamento della Religione nelle scuole. Comincia a sorgere in lui una vera preoccupazione per le condizioni di vita degli abitanti nei quartieri più emarginati del capoluogo siciliano.
Dal 1970 al 1978 padre Pino, come tutti lo chiamano, è parroco a Godrano, piccolo paese in provincia di Palermo, dove riesce a sanare una faida tra famiglie. Intanto, non perde di vista la cura per le vocazioni, a diretto contatto con i giovani mediante i campi-scuola. Il 29 settembre 1990 ritorna a Brancaccio come parroco di San Gaetano. Per indirizzare i giovani sulla strada del bene, fonda il Centro “Padre Nostro”, inaugurato il 29 gennaio 1993.
Il suo impegno, tuttavia, gli procura minacce di morte da parte dei mafiosi. La sera del suo cinquantaseiesimo compleanno, il 15 settembre 1993, mentre sta per rientrare a casa, viene ucciso da Salvatore Grigoli, dopo avergli rivolto il suo ultimo sorriso. È stato beatificato a Palermo il 25 maggio 2013, sotto il pontificato di papa Francesco.
I suoi resti mortali sono venerati nella cattedrale di Palermo, mentre la sua memoria liturgica cade il 21 ottobre, giorno del suo Battesimo.
Dal 25 maggio 2013 l’antimafia va in paradiso; anche se il primo a riderne sarebbe proprio lui, don Pino Puglisi, il prete antimafia per eccellenza, che tuttavia non è stato mai un prete “anti”, piuttosto sempre un prete “per”.
Le sue umili origini (papà calzolaio, mamma sarta) affondano a Brancaccio, il quartiere palermitano dove nasce il 15 settembre 1937 e sempre ad alta concentrazione di miseria (non sempre solo materiale), di delinquenza, di corruzione.
E di mafia. Con la quale il prete di Brancaccio deve ben presto confrontarsi, perché del suo quartiere finisce nel 1990 per essere nominato parroco.
Nei 28 anni precedenti ha ricoperto i più svariati incarichi, dall’insegnamento alla pastorale vocazionale, dalla direzione spirituale di giovani e religiose alla rettoria del seminario minore fino all’accompagnamento delle giovani coppie, rivelandosi sempre fine educatore, consigliere illuminato ed incisivo formatore di coscienze, comunque un prete “rompiscatole”, come ama definirsi, che non lascia tranquilli i suoi interlocutori, sempre stimolandoli ad una maggior autenticità cristiana.
Significativi, dal punto di vista pastorale, i suoi otto anni passati nella comunità di Godrano, contrassegnata da una atavica e sanguinosa faida, che riesce a debellare a colpi di Vangelo e carità,
insegnando e inculcando la forza trasformante della riconciliazione cristiana e del perdono vicendevole.
Ritorna a Brancaccio da parroco, umanamente ormai maturo perché oltre la soglia dei 50 anni, ma, soprattutto, pastoralmente ben collaudato, con uno stile pedagogico e formativo ben definito e una passione per i giovani che con il tempo è andata aumentando anziché affievolirsi.
Sono loro, infatti, a dover essere sottratti, uno ad uno, all’influenza mafiosa, per creare una nuova cultura della legalità e un’autentica promozione umana, che passi attraverso il risanamento del quartiere, la creazione di nuove opportunità lavorative, il recupero di condizioni di vita dignitose, ulteriori possibilità di scolarizzazione.
Per fare questo don Puglisi non si risparmia e non esclude alcun mezzo, dalla predica in chiesa con toni accesi e inequivocabili alla promozione in piazza di manifestazioni e marce antimafia che raccolgono sempre più adesioni e che per la malavita locale sono un autentico pugno nello stomaco.
In soli tre anni di intensa attività la mafia si vede progressivamente privata di manovalanza e, soprattutto, di consenso popolare da quel prete che ben presto diventa una sgradita “interferenza” e che raccoglie i giovani in un centro, intitolato al Padre Nostro, dove fa ripetizione ai bambini poveri, destinati a un futuro di disagio o di asservimento alla potenza dei boss.
A tutti ripete: «Da soli, non saremo noi a trasformare il quartiere. Noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualcosa, e se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto…».
Cominciano ad arrivare i primi avvertimenti, le prime molotov e le prime porte incendiate, ma don Pino non è tipo da lasciarsi intimorire: «Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti», denuncia in chiesa. È in questo contesto che viene decretata la sua condanna a morte da parte dei boss Graviano.
I sicari lo avvicinano davanti alla porta di casa il 15 settembre 1993, sera del suo cinquantaseiesimo
Beato Giuseppe Puglisicompleanno. Lo eliminano con un colpo di pistola alla nuca, tentando di far apparire l’omicidio come conseguenza di una rapina finita male. È Salvatore Grigoli, quello che ha premuto il grilletto, a ricordare il suo ultimo sorriso e le parole «Me l’aspettavo», che dicono come quella morte non sia un incidente di percorso ma un rischio di cui don Pino era ben cosciente.
Quell’assassinio «ci sembrò subito come una maledizione, perché da allora cominciò ad andarci tutto storto», riferisce sempre Grigoli, che intanto ha iniziato un percorso di conversione, imitato alcuni anni dopo dall’altro sicario, Gaspare Spatuzza. Entrambi attribuiscono il ravvedimento alla loro vittima, da cui sono certi di essere stati perdonati.
Dopo trent’anni la Chiesa riconosce la morte di don Puglisi come martirio “in odio alla fede”, privando di fatto la mafia di quell’aura di religiosità, o meglio di devozionismo che alcuni boss hanno ostentato. Chissà se a lui non sta un po’ stretta, ora, la nuova qualifica di “beato”, che può rischiare, come qualcuno teme, di trasformarlo in un “santino” più che in un santo, edulcorando cioè la forza della sua testimonianza. Ma, a ben guardare, non dipende da lui: dipende da noi.

(Autore: Gianpiero Pettiti - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Giuseppe Puglisi, pregate per noi.

*Beato Guglielmo da Montreal - Mercedario (21 ottobre)

Cavaliere laico spagnolo d'Aragona, il Beato Guglielmo da Montreal, fu uno dei primi nobillissimi cavalieri che formarono e diedero vita all'Ordine Mercedario.
Santamente terminò i suoi giorni nel convento di Sant'Eulalia in Barcellona.
L'Ordine lo festeggia il 21 ottobre.

(Fonte:
Enciclopedia dei Santi)

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*Sant'Ilarione di Gaza - Abate (21 ottobre)

Tabata, Palestina, 291 circa - Pafo, Cipro, 372
Nacque da genitori pagani verso il 291, a Tabata, piccola città della Palestina. Fu mandato ad Alessandria d'Egitto per compiere gli studi.
Si distinse da subito grazie a un ingegno particolarmente vivo e un'integrità morale che applicò con maggior fervore dopo la conversione al cristianesimo. Abbandonata l'opulenta città egiziana si ritirò in Tebaide presso Sant'Antonio abate. Nel 307, però, fece ritorno alla casa paterna dove venne a conoscenza della morte dei genitori. Decise così di donare parte dei suoi beni ai fratelli e parte ai poveri e di ritirarsi definitivamente a Maiumma, in Palestina, zona frequentata da malviventi.
I suoi giorni era divisi tra la preghiera, lo studio delle Scritture e il lavoro manuale. Nonostante la rigidità delle condizioni di vita che si impose arrivò all'età di 80 anni. Morì a Pafo, nel 372. Il suo corpo fu riportato al monastero di Maiumma dal discepolo Eusebio. (Avvenire)
Etimologia: Ilarione = gaio, allegro, dal latino
Martirologio Romano: Nell’isola di Cipro, sant’Ilarione, abate, che, seguendo le orme di sant’Antonio, dapprima condusse vita solitaria vicino a Gaza e fu poi fondatore e modello di vita eremitica in questa provincia.
Questo santo eremita nacque da genitori pagani verso il 291, a Tabata, piccola città della Palestina. Fu mandato ancor fanciullo ad Alessandria d’Egitto per compiere gli studi, e si distinse per vivacità d’ingegno e integrità di costumi. Rapidi furono i progressi nelle scienze umane: non meno rapido fu l’avanzamento nella pratica delle cristiane virtù, allorchè conosciuta la vera religione si convertì al Cristianesimo.
Avido di udire la divina parola, fu sempre sollecito nell’intervenire alla sacra predicazione e nell’assistere ai divini uffici. Nauseato della vita licenziosa in Alessandria e mosso dall’ardente desiderio della perfezione cristiana, abbandonò quella città per recarsi in Tebaide presso Sant'Antonio Abate.
Fu a quella scuola che apprese vivo amore alla solitudine, all’orazione e alla penitenza. Ma il grande concorso delle persone che venivano ad Antonio per ammirarne la santità o riceverne consiglio
presto lo annoiò; sicchè, abbandonato quel luogo nel 307, fece ritorno al tetto paterno, dove, con suo profondo dolore apprese della morte degli amati genitori. Privo ormai d’ogni umano conforto si abbandonò totalmente nelle mani della Divina Provvidenza e donata parte dei suoi beni ai fratelli e parte ai poveri, lasciò definitivamente la casa paterna, per ritirarsi a Maiumma, luogo solitario della Palestina.
L’ardore con cui si diede alla vita monastica, cambiò quel deserto che fin allora aveva servito di covo agli assassini, in un’oasi di santi uomini, che da lui diretti, eressero diversi monasteri. Interrogato una volta il Santo da alcuni malviventi sul come si sarebbe comportato qualora i ladri l’avessero assalito, rispose: “Un uomo povero e nudo non teme i ladri”. “Ma ti potrebbero togliere la vita” soggiunsero. “Questo è vero, replicò il Santo, ma io non temo la morte, perchè sono sempre apparecchiato a ben morire”.
Mirabilmente soggiogò le sue passioni con la preghiera e con le continue e aspre penitenze,
riducendo all'ubbidienza della volontà il corpo ribelle. Spendeva i suoi giorni unicamente nel servizio del Signore, alternando la preghiera e la contemplazione con lo studio delle Sacre Scritture e il lavoro manuale. Vestì molto poveramente e si cibò sempre di erbe e di pochi fichi: solo negli ultimi mesi fu costretto a prendere un po’ di minestra. Nonostante le macerazioni e le mortificazioni che infliggeva al suo corpo, toccò la bell'età di 80 anni.
Scrive S. Girolamo che prima di rendere l'anima a Dio, il vecchio steso in terra su di una rude stuoia, sorpreso dal timore del giudizio, andasse ripetendo a se stesso: “Di che temi o anima mia? Perchè ti conturbi se per quasi settant’anni hai servito il tuo Signore?”.
A Pafo, nel 372, il Signore lo chiamò a ricevere il premio. Il suo corpo glorioso fu dal discepolo Eusebio riportato al monastero di Maiumma.

(Autore: Antonio Galuzzi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Ilarione di Gaza, pregate per noi.

*Sant'Ilarione di Moglena - Vescovo (21 ottobre)

† 21 ottobre 1164
Ilarione visse nel XII secolo e combattè contro gli eretici, specialmente i bogomili e i manichei, stabilitisi nella parte montagnosa della sua regione. Morì il 21 ottobre 1164 e viene onorato come santo specialmente dalle Chiese slave. La Vita di Ilarione è stata scritta da Eutimio Vulgaris (1375-1393) e la sua commemorazione cade il 21 ottobre, giorno in cui, secondo M. Langhis, morì e in cui sarebbe stata fatta la traslazione delle reliquie.
Moglena è una regione montana della Macedonia occidentale, posta a Sud-Est del lago di Prespa, a Sud di Bjtoli (Monastir); essa è formata essenzialmente da una catena di montagne chiamate oggi
Neretchka Planina (l'Almopia dell'antichità). Ci fu una sede vescovile di questo nome fin dal Medio Evo (probabilmente già dal sec. X), il cui titolare risiedeva a Florina.
Ilarione, che l'ha illustrata nel XII sec., è molto poco noto. Egli era iscritto nei calendari slavi alla data del 21 ottobre, ma la sua personalità rimaneva oscura. Fortunatamente la sua vita, scritta dall'ultimo patriarca Eutimio (1375-1393), fu pubblicata nel testo originale (bulgaro) da E. Kaluzniacky. Posteriore di due secoli agli avvenimenti, essa però ci dà pochi particolari.
Dopo aver condotto vita monastica, Ilarione venne nominato vescovo di Moglena in data sconosciuta. La sua attività pastorale consistette soprattutto nel lottare contro gli eretici, numerosi nella regione: manichei, armeni, e principalmente bogomili. Egli ne ricondusse alla Chiesa un certo numero e abbandonò gli altri al braccio secolare. Morí il 21 ottobre 1164.
Verso il 1205, Calogiovanni zar di Bulgaria, trasportò il suo corpo a Trnovo. Ivan Assen II, figlio di Assen I, costruí nel 1230 la chiesa dei Quaranta Martiri, nella quale furono deposte le sue reliquie. Questa chiesa, trasformata in moschea, esiste ancor oggi e conserva la maggior parte della sua antica decorazione.

(Autore: Raymond Janin - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Ilarione di Moglena, pregate per noi.

*Beato Isidro Fernández Cordero - Padre di famiglia, Martire (21 ottobre)

Scheda del Gruppo a cui appartiene:

"Beati Martiri Spagnoli di Nembra" - Celebrazioni singole (21 ottobre)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Murias, Spagna, 15 maggio 1893 - Nembra, Spagna, 21 ottobre 1936
Isidro Fernández Cordero, prima commerciante, poi minatore, sposato con figli, venne prelevato da alcuni miliziani la sera del 24 luglio 1936, poco dopo l’inizio della guerra civile spagnola. Temporaneamente liberato, ma obbligato a ripresentarsi alle autorità quando richiesto, uscì dal suo nascondiglio perché non venisse fatto del male alla sua famiglia.
Trasportato nella chiesa di San Giacomo apostolo a Nembra, la sua parrocchia, vi ritrovò il suo amico Segundo Alonso González; i due vennero raggiunti, la notte seguente, dal parroco don Genaro Fueyo Castañón. Tutti e tre furono quindi uccisi a colpi di coltello il 21 ottobre 2016; Isidro aveva 33 anni. Insieme ai suoi compagni e al giovane Antonio González Alonso, è stato beatificato nella cattedrale di Oviedo l’8 ottobre 2016. La sua memoria liturgica per la diocesi di Oviedo cade il 21 ottobre, giorno della sua nascita al Cielo.
Famiglia, lavoro e devozione
Isidro Fernández Cordero nacque a Murias, nella Comunità autonoma delle Asturie, in Spagna, il 15 maggio 1893. Era il terzo dei cinque figli (di cui due diventati Domenicani) di Buenaventura Fernández y Méndez e Florentina Cordero Suárez. Nel 1922, a 28 anni, sposò Celsa García, venticinquenne: ebbero sette figli, tre dei quali divennero religiosi.
Nei primi tempi del matrimonio gestì, insieme alla moglie, un’attività commerciale, vale a dire un negozio che comprendeva anche un bar. Tuttavia, con l’aumentare dei figli, si vide costretto a lavorare come minatore.
Fedele della parrocchia di San Giacomo apostolo a Nembra, partecipava frequentemente alla Messa ed era il tesoriere dell’associazione dell’Adorazione Eucaristica notturna, incentivata dal parroco don Genaro Fueyo Castañón.
Prima prigionia
La sera del 24 luglio 1936, poco dopo l’inizio della guerra civile spagnola, quattro miliziani piombarono a casa sua mentre stava cenando con la famiglia, dichiarando che Isidro doveva presentarsi di fronte al Comitato civile. Condotto lì, si vide accusare di essere «uno che pregava» («rezador» in spagnolo) e quindi tradotto direttamente in carcere, vale a dire nella Sala di Guardia dell’Adorazione Notturna, che si trovava al secondo piano di un edificio vicino alla casa parrocchiale.
Insieme ai suoi compagni di prigionia, venne liberato, ma provvisoriamente: i carcerieri li avvisarono che avrebbero dovuto presentarsi ogni volta che fosse loro richiesto, altrimenti le loro famiglie avrebbero pagato le conseguenze.
Il coraggio di non fuggire
I primi di agosto il carcere venne riaperto. Isidro, che intanto si era rifugiato in una casetta di montagna detta La Brañella, fu raggiunto da sua sorella Jesusa: avrebbe dovuto presentarsi al
Comitato di Nembra, ma lei gli suggerì di non andare e di scappare a León.
Replicò: «Se non mi presento, si vendicheranno con la mia famiglia. Ci hanno sempre accusato di essere gente di preghiera e retrogradi, per cui l’unico delitto di cui siamo accusati è essere cattolici, e questo è un onore per noi. Non abbiamo alcun delitto, pertanto non possono farci nulla, così salviamo la nostra famiglia dai fastidi o dalle derisioni che vorranno fare. Dio sa perché ci mantiene qui e siamo nelle sue mani; se Lui lo permette, accadrà qualcos’altro».
Le sue parole di perdono
Rimase prigioniero due mesi e dieci giorni, durante i quali pregava il Rosario quotidianamente e poté ricevere alcune brevi visite dei suoi figli e della moglie. Un giorno una delle figlie gli domandò: «Perché non scappi?», e lui rispose: «Non posso, e comunque sono testimone di Gesù Cristo. Dovete perdonare tutti come io li perdono. Di cuore. Dillo a tua madre e ai tuoi fratelli».
La sera del 20 ottobre, disse al figlio Darío: «Dì a tua madre che, se volesse, vada a Gijón a parlare col Comitato Provinciale, perché non c’è nulla da fare. Segundo è stato fatto uscire due giorni fa e non sappiamo se sia vivo. Oggi spero che facciano uscire me. Questo bacio è per tua madre e anche per i tuoi fratelli. Non ci vedremo mai più. Dille pure che non pianga, perché siamo martiri, ci perseguitano e ci schiaffeggiano come Gesù Cristo. Pregate molto per noi. Ci rivedremo in cielo».
Il martirio
Proprio quella notte, Isidro venne condotto nella chiesa di San Giacomo, dove trovò Segundo Alonso González, l’amico per cui era preoccupato. Quando vennero costretti a scavare le loro stesse sepolture, scelsero il posto dove abitualmente partecipavano alla Messa, vicino all’altare dei Santi Martiri.
Non vollero che il parroco don Genaro, che di lì a poco fu trasportato anche lui in chiesa, preparasse la propria fossa, dato che era molto anziano: l’aprirono di fronte all’altare maggiore.
Isidro e Segundo furono confortati fino alla fine dal loro parroco, che aveva chiesto di essere l’ultimo a morire proprio per impartire agli altri l’ultima assoluzione. Infine, tutti e tre vennero uccisi a coltellate e gettati nelle loro fosse. Isidro aveva 33 anni.
Un anno dopo l’accaduto, i corpi dei tre furono recuperati e riconosciuti, perché praticamente incorrotti, dai rispettivi familiari.
La causa di beatificazione
La causa di beatificazione di Isidro e dei suoi due compagni, cui è stato unito il giovane Antonio González Alonso, ucciso l’11 settembre 1936, si è svolta nella diocesi di Oviedo, ottenuto il nulla osta da parte della Santa Sede l’11 marzo 1997. L’inchiesta diocesana è stata convalidata il 26 aprile 2002, mentre la “Positio super martyrio” è stata consegnata nel 2007.
Il 21 gennaio 2016, ricevendo in udienza il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinal Angelo Amato, Papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui la morte di don Genaro e di Segundo, Isidro e Antonio era dichiarata martirio in odio alla fede cattolica.
La loro beatificazione si è svolta nella cattedrale di Oviedo l’8 ottobre 2016, prima celebrazione del genere nel territorio diocesano, presieduta dal cardinal Amato come delegato del Santo Padre. Tra i presenti, Enrique, figlio di Isidro, unico discendente diretto dei quattro martiri, ormai ottantacinquenne.
La loro memoria liturgica, per la diocesi di Oviedo, è stata fissata al 21 ottobre, giorno della nascita al Cielo della maggior parte di questi martiri.

(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Isidro Fernández Cordero, pregate per noi.

*Beata Laura di Santa Caterina da Siena Montoya y Upegui - Fondatrice (21 ottobre)
Jerico, Colombia, 26 maggio 1874 - Medellin, 21 ottobre 1949
Colombiana, nata nel 1874. Seguendo la sua vocazione di maestra nel 1914 fonda le 'Missionarie di Maria Immacolata e Santa Caterina da Siena' e con il gruppo delle 'Missionarie catechiste degli indios' si reca presso le popolazioni indigene, superando le discriminazioni razziali del tempo. Muore a Medellín nel 1949. Durante la sua vita furono aperte altre cento case nei territori della Colombia, Ecuador e Venezuela.
Martirologio Romano: Nel villaggio di Belencito vicino a Medellín in Colombia, Beata Laura di Santa Caterina da Siena Montoya y Upeguí, vergine, che si dedicò con grande profitto ad annunciare il Vangelo tra le popolazioni indigene ancora prive della fede in Cristo e fondò la Congregazione delle Suore Missionarie di Maria Immacolata e di Santa Caterina da Siena.
Nasce in un piccolo paese colombiano il 26 maggio 1874 e, dato che la mamma si rifiuta di vederla prima del battesimo, la battezzano quattro ore dopo la nascita, in tutta fretta. Talmente in fretta che a papà manca il tempo di concordare con la moglie il nome da darle.
É il parroco a scegliere per lei il nome di Maria Laura di Gesù e al papà stupito, che obbietta di non sapere se esiste una “Santa Laura”, sbrigativamente risponde che, in questo caso, la bambina avrebbe un motivo in più per farsi santa. Per il momento, però, la piccola Laura deve fare i conti con la sofferenza: non ha ancora tre anni quando suo papà muore assassinato, in quegli anni particolarmente sanguinosi della storia colombiana.
Per sua fortuna ha accanto una mamma esemplarmente cristiana, che le insegna a perdonare e ogni giorno le fa recitare un “Padre nostro” per l’assassino di papà. La piccola orfana sente particolarmente “fame di affetto”, perché i nonni la accolgono, insieme alla mamma e alle sorelline, più per pietà che per amore. Non la mandano a scuola, perché la casa è troppo distante dal centro abitato ed è mamma ad insegnarle a leggere, scrivere e, soprattutto, ad amare Dio.
Più grandicella, viene mandata in collegio e a sedici anni decide di diventare maestra. Studentessa-lavoratrice, per pagarsi gli studi va ad accudire gli ottanta malati del manicomio e ruba ore al sonno per studiare sui libri, presi in prestito dalla biblioteca magistrale.
L’intelligenza prodigiosa di cui è dotata non solo le consente di superare brillantemente l’esame di ammissione, ma le permette anche di vincere una borsa di studio statale, grazie alla quale a 19 anni
si diploma maestra. Prende con sé la mamma e per qualche anno va ad insegnare in varie scuole, giovane maestrina che non vuole soltanto insegnar nozioni ma anche trasmettere i valori cristiani.
Laura, che sempre ha sentito l’attrattiva per la vita consacrata e più volte ha pensato di farsi carmelitana, viene sconsigliata a fare questo passo dai suoi stessi direttori spirituali: troppo irrequieta per un convento di clausura; troppo estroversa e dinamica per la vita contemplativa. Scopre la sua vocazione per puro caso, quando viene a conoscenza della situazione discriminata e misera in cui vivono gli indigeni colombiani.
Pensare agli indios e decidere di fare qualcosa per la loro promozione umana e per la loro evangelizzazione è per lei un tutt’uno, ma non trova neppure una congregazione che voglia farsene carico. Soltanto un vescovo “sposa” la sua idea e dal niente nascono le “missionarie catechiste degli indios” che nel 1914 lasciano Medellin e raggiungono nella giungla gli indios catios.
Insieme a Laura partono in quella prima spedizione la sua mamma, ormai settantenne, e alcune amiche, che abbinano all’eroismo un pizzico di follia e che dal nome della loro fondatrice, verranno
poi conosciute come “Laurite”. Madre Laura, dopo aver rivoluzionato il concetto di missione con nuovi mezzi pedagogici e nuovi metodi di evangelizzazione, trascorre i suoi ultimi nove anni sulla sedia a rotelle, sempre missionaria con il cuore e, comunque, anima della sua congregazione.
Muore il 21 ottobre 1949, quando le sue suore sono ormai quasi 500 e le novizie un centinaio, a servizio di 22 popoli indigeni.
Negli anni questi numeri sono più che raddoppiati e la loro presenza è segnalata in 19 stati, mentre Madre Maria Laura Montoya Upeguì il 25 aprile 2004 è stata proclamata Beata.
É la prima donna colombiana ad essere beatificata, avverando così la profezia del suo sbrigativo ma illuminato parroco.
(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Laura di Santa Caterina da Siena Montoya y Upegui, pregate per noi.

*Santa Letizia (21 ottobre)

Notizie su Santa Letizia, purtroppo, non se ne trovano, segno che una Santa o Beata con questo nome non c’è, ciò nonostante la tradizione vuole che la ricorrenza sia il 21 ottobre.
E' citata una s. Laetitia (latino) vergine al 13 marzo.
Il significato del nome è evidente, cioè ‘lieta’ ma in precedenza significava ‘grasso’. Molto diffuso in Corsica (si chiamava così la madre di Napoleone) in Francia; Inghilterra (Letycie) e in Spagna (Leticia).
Leticia è anche il nome di una città e porto della Colombia.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santa Letizia, pregate per noi.

*San Malco - Eremita (21 ottobre)
IV sec.

Martirologio Romano: Commemorazione di san Malco, monaco, il cui spirito ascetico e la cui insigne vita a Maronia vicino ad Antiochia in Siria furono celebrate da san Girolamo.
San Girolamo, nel 375, si ritirò a Maronia (piccolo villaggio a trenta miglia a Sud di Antiochia), nei possedimenti dell’amico Evagrio, per condurre vita eremitica e vi incontrò il monaco Malco, che gli espose i particolari romanzeschi della sua vita.
Qualche anno più tardi (390-391) Girolamo narrò queste vicende nell’opuscolo Vita Malchi monachi captivi. L’opera sa, come afferma lo stesso Girolamo, di esercitazione letteraria («mi voglio provare in una piccola opera e deporre in questo modo una certa ruggine di lingua») ed ha uno scopo parenetico-ascetico («espongo a persone caste un racconto attorno alla castità… Voi narrate ciò ai posteri, affinché sappiano che fra le spade ed i deserti e le bestie feroci la pudicizie non è mai schiava e che l’uomo consacratosi a Dio, può morire, non essere vinto»).
Letterariamente essa è molto valida, mentre dal punto di vista storico si prospettano notevoli perplessità circa il contenuto della narrazione. Forse su un personaggio storico da lui conosciuto, Girolamo compose un romanzo con finalità propagandistiche a favore del monachesimo e della castità, non senza punte polemiche nei riguardi degli avversari romani.
Secondo la Vita Malchi, comunque, Malco, discendente da nobile famiglia, si era ritirato nel deserto della Calcide per consacrarsi alla vita monastica, nonostante la decisa opposizione paterna.
Nel monastero venne però a contrasto con l’abate, perché in seguito alla morte del padre, intendeva entrare in possesso dei beni familiari per distribuirli ai poveri e per costruire un monastero.
Per questo attaccamento alle cose terrene fu punito; infatti, allontanatosi dal monastero, nel deserto incappò in un gruppo di beduini, che lo vendettero ad un proprietario di una lontana regione. Egli fu incaricato della custodia del gregge, cosa che non gli dispiacque, perché in mezzo ai pascoli gli era possibile la preghiera e la contemplazione.
In considerazione della fedeltà e dell’ottimo servizio, il padrone intendeva sposarlo ad una schiava che era stata violentemente separata dal marito. L’idea di nozze adultere fece sorgere in Malco un senso di disperazione, ma la donna gli propose di fare un matrimonio simulato, vivendo in assoluta castità. Trascorsero così qualche tempo, poi tentarono un’evasione. La narrazione di Girolamo a questo punto assume toni romanzeschi.
I due, raggiunti nel deserto dal padrone e da un servo, si rifugiarono nella tana di una leonessa, la quale sbranò prima il servo e poi il padrone, mentre Malco e la donna, utilizzando i dromedari degli uccisi, raggiungevano il monastero nel quale Malco aveva iniziato la vita monastica. Essendo stato respinto, Malco si trasferì, seguito dalla donna, a Maronia, ove conobbe Girolamo e la donna si ritirò in un monastero. L’episodio degli sposi, vissuti in perfetta castità, è un motivo assai frequente nell’antica agiografia.
L’operetta di Girolamo fu ridotta in versi da La Fontaine. Della Vita esistono tre redazioni antiche (latina, greca, siriaca), che differiscono tra loro solo marginalmente. Il culto si diffuse molto in Oriente dove i sinassari e i menologi ricordano Malco al 20 e 26 marzo, e al 16 aprile. In Occidente la menzione è assai più tarda, fu infatti il Greven (morto nel 1477) che lo iscrisse nella sua egizio del Martirologio di Usuardo al 21 ottobre, giorno in cui era già Sant'Illazione; dall’edizione del Greven passò nel Martirologio Romano.
Autore: Gian Domenico Gordini (Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Malco, pregate per noi.

*Beati Martiri Spagnoli di Nembra (21 ottobre)

Scheda del Gruppo cui appartiene
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

+ 11 settembre e 21 ottobre 1936
I martiri di Nembra, località della Comunità autonoma delle Asturie in Spagna, sono don Genaro Fueyo Castañón, parroco della chiesa di San Giacomo apostolo, e tre suoi parrocchiani: Segundo Alonso González, Isidro Fernández Cordero e Antonio González Alonso, membri dell’associazione dell’Adorazione Eucaristica notturna.
I primi tre sono stati uccisi nella loro chiesa parrocchiale il 21 ottobre 1936, mentre Antonio era stato assassinato l’11 settembre 1936. Sono stati beatificati l’8 ottobre 2016 nella cattedrale di Oviedo, sotto il pontificato di papa Francesco. La loro memoria liturgica, per la diocesi di Oviedo, ricorre il 21 ottobre.
Genaro Fueyo Castañón, anziano parroco della chiesa di San Giacomo apostolo a Nembra nelle Asturie, nella notte del 21 ottobre 1936 fu condotto a spintoni nell’edificio sacro da alcuni miliziani che risiedevano in un villaggio vicino.
Arrivato in chiesa, si trovò di fronte due parrocchiani, Segundo Alonso González e Isidro Fernández Cordero, minatori e membri dell’associazione dell’Adorazione Eucaristica notturna, che erano stati costretti a scavarsi due fosse di fronte a uno degli altari; una terza era già pronta per
lui, di fronte all’altare maggiore.
I due laici vennero accoltellati e gettati dentro le fosse, mentre il sacerdote, dopo aver subito lo stesso trattamento, venne ucciso con un colpo di pistola alla tempia. I loro resti, pressoché incorrotti, vennero restituiti ai familiari, che, rispettando le loro ultime volontà, perdonarono i loro uccisori.
A questo gruppo è stato unito il ventiquattrenne Antonio González Alonso, anche lui membro della stessa associazione e parrocchiano di San Giacomo a Nembra, assassinato l’11 settembre 1936.
La causa di beatificazione si è quindi svolta nella diocesi di Oviedo, ottenuto il nulla osta da parte della Santa Sede l’11 marzo 1997. L’inchiesta diocesana è stata convalidata il 26 aprile 2002, mentre la “Positio super martyrio” è stata consegnata nel 2007.
Il 21 gennaio 2016, ricevendo in udienza il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinal Angelo Amato, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui la morte di don Genaro e di Segundo, Isidro e Antonio era dichiarata martirio in odio alla fede cattolica.
La loro beatificazione si è svolta nella cattedrale di Oviedo l’8 ottobre 2016, prima celebrazione del genere nel territorio diocesano, presieduta dal cardinal Amato come delegato del Santo Padre. La memoria liturgica, per la diocesi di Oviedo, è stata fissata al 21 ottobre, giorno della nascita al Cielo di don Genaro e dei suoi compagni di martirio.
Di seguito, accanto al nome di ogni martire, i collegamenti alle pagine che riportano le schede biografiche di ciascuno.
Genaro Fueyo Castañón, sacerdote, 72 anni
Segundo Alonso González, padre di famiglia, 48 anni
Isidro Fernández Cordero, padre di famiglia, 33 anni + Nembra, 21 ottobre 1936
Antonio González Alonso, giovane laico, 24 anni + Oviedo, 11 settembre 1936
(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Martiri Spagnoli di Nembra, pregate per noi.

*San Mauronto - Vescovo di Marsiglia e Abate di San Vittore (21 ottobre)

† 20 ottobre 780
Martirologio Romano: A Marsiglia nella Provenza in Francia, san Mauronto, vescovo, che fu anche abate della chiesa di San Vittore.
Secondo i pochissimi documenti superstiti dell’abbazia di San Vittore a Marsiglia, Mauronto (lat. Maurontus, fr. Mauronte) fu vescovo di Marsiglia e contemporaneamente abate di san Vittore.
Per quanto ci è dato sapere, egli appare come un uomo interamente devoto agli interessi dei suoi amministrati: poiché la grande abbazia marsigliese era stata ingiustamente spogliata del possesso di Chaudol, presso Digne, donato dalla principessa Adeltrude, Mauronto intentò un processo ad Antenero, patrizio di Marsiglia, ma, per ottenere il suo scopo, fu costretto a recarsi a Héristal, nel palazzo dei e Pipinidi, dove Carlo Martello e poi Pipino il Breve gli diedero causa vinta.
Si sa inoltre che amministrò con eguale fermezza la sua diocesi e sembra che sia stato più efficace e valido guerriero che non uomo di studi, cosa che ci spiega forse una certa leggenda piuttosto singolare: duca e conte di Marsiglia e di Avignone, egli fu fatto governatore di Marsiglia da Carlo Martello dopo la vittoria di Poitiers.
Ma il re era lontano e i Saraceni vicini; Mauronto quindi giudicò che fosse meglio essere in buoni rapporti con questi ultimi piuttosto che con il primo e consegnò loro Avignone. Carlo Martello venne
a riprendersi la città e volle punire il duca Mauronto, ma questi si chiuse a san Vittore, luogo d’asilo; poi, preso da rimorso e toccato dalla grazia si fece monaco. Morì il 20 ottobre 780 e il suo corpo è custodito nella cripta di san Vittore.
Il sarcofago che lo conteneva è ormai esposto al Museo Borely di Marsiglia, perché è risultato trattarsi d’un’opera del I secolo a. C., appartenente ad una certa Giulia Quintina.
Il culto di Mauronto risale a tempi immemorabili ed è stato approvato dalla santa Congregazione dei Riti.
Egli è popolarissimo a Marsiglia, forse perché il quartiere che porta il suo nome, vicino al vecchio porto, è uno dei più antichi della città e pullula della vita tipica del grande centro Foceano.
La chiesa dedicata a Mauronto non si collega direttamente a lui: edificio neo-romanico, aperto al culto nel 1876, fu costruito durante il secondo impero dall’architetto Espérandieu, come quasi tutta Marsiglia, e consacrato a San Mauronto da monsignor de Mazenod.
A Marsiglia, il Santo dovrebbe essere il patrono dei giocatori di calcio perché si dice che faccia vincere le squadre che portano il suo nome nelle partite che contrappongono tra loro i patroni.

(Autore: Marie-Odile Garrigues - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Mauronto, pregate per noi.

*Sant'Odilia - Martire (21 ottobre)

Principessa.
Amica di Sant'Orsola, ha viaggiato e fu martirizzata con lei.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Odilia, pregate per noi.

*Sant'Orsola e Compagne - Martiri (21 ottobre)

Vissero probabilmente nel IV secolo e non nel V come vuole la leggenda. Una Passio del X secolo, infatti, narra di una giovane bellissima, Orsola, figlia di un re bretone, che accettò di sposare il figlio di un re pagano con la promessa che si sarebbe convertito alla fede cristiana. Partì con 11.000 vergini per raggiungere lo sposo, ma l'incontro con gli Unni di Attila provocò il loro martirio. Orsola fu trafitta da una freccia perché non aveva voluto sposare lo stesso Attila.
Questa leggenda, comunque, ha una base storica, come ha dimostrato il ritrovamento di una iscrizione presso una chiesa di Colonia. L'iscrizione parla del martirio di Orsola e di altre dieci vergini (divenute 11.000 per un piccolo segno sul numero romano XI), martirio avvenuto
probabilmente sotto Diocleziano.
Patronato: Ragazze, Scolare
Etimologia: Orsola = piccola orsa, forte
Emblema: Donna sotto un mantello, Palma
Martirologio Romano: Presso Colonia in Germania, commemorazione delle sante vergini, che terminarono la loro vita con il martirio per Cristo nel luogo in cui fu poi costruita la basilica della città dedicata in onore della piccola Orsola, vergine innocente, ritenuta di tutte la capofila.
Le non poche leggende che avvolgono la figura di S. Orsola potrebbero considerarsi racconti esuberanti, che si diramano da realtà importanti: da una iscrizione nel coro della chiesa omonima in Colonia, ritenuta oggi autentica ed assegnata al IV-V secolo, fino alla protezione degli studi alla Sorbona e nelle università di Coimbra e Vienna. La collocazione nella storia della santa può oscillare dai tempi di Diocleziano, il dalmata imperatore romano che perseguitò i cristiani nel 303-304, a quelli di Attila (395-453), il re degli Unni e “flagello di Dio” che pure non scherzò affatto coi cristiani. D’altra parte la leggenda medioevale intorno ai santi non va considerata riduttivamente come propaganda dei preti o come esigenza localistica di prestigio.
Orsola o Ursula, figlia di un re di Britannia, era bellissima, segretamente consacrata a Dio. Un re pagano, di nome Aetherius, si fece ben presto avanti per ottenerla in sposa. Il matrimonio avrebbe scongiurato una guerra, quindi diventava politico; perciò il padre fu quasi obbligato a dare il proprio consenso. Ma la giovane pose alcune condizioni: una dilazione di tre anni, la promessa del pretendente che si sarebbe convertito e la programmazione di un pellegrinaggio insieme a Roma. Scaduti i tre anni, Orsola e undici nobili fanciulle (che diventeranno successivamente undicimila per un errore di trascrizione dell’iscrizione di cui sopra) salparono dai propri lidi e per mare e poi per fiume raggiunsero Colonia.
Dopo avere là brevemente soggiornato,le undici giovani, incoraggiate da un angelo, proseguirono, sempre navigando sul Reno, fino a Basilea. Dalla Svizzera raggiunsero a piedi, oranti pellegrine, Roma, dove Orsola fu ricevuta dal Papa. Davanti al Santo Padre comparve anche il promesso sposo che, nel frattempo, si era convertito al cristianesimo. Nello stesso anno e seguendo il medesimo
tragitto, le vergini ritornarono a Colonia. In tale antica e importante città tedesca Orsola e le altre, per la loro manifesta fede cristiana, vennero torturate e messe a morte a colpi di freccia.
Colonia, che pure coltiva dal 1162 un grande culto verso i Magi, la ricorda come propria patrona insieme a San Cuniberto, vescovo nel VII secolo. Le comunità cattoliche la venerano sempre, anche attualmente, in buona parte del mondo e talora con grandi cerimonie religiose, il 21 ottobre, suo giorno del calendario liturgico.
Anche Mantova non ha voluto essere da meno, facendo costruire in suo onore, nel 1608 su progetto dell’architetto di corte Antonio Maria Viani, la chiesa di recente restaurata e che prospetta sul corso Vittorio Emanuele II. Non marginale il fatto che le Orsoline, fondate nel 1535 da Sant’Angela Merici, abbiano operato per più di un secolo nella città di Virgilio, educando tanta gioventù femminile.
Innumerevoli sono, come in parte già accennato, i patronati di Sant’Orsola; tra loro riveste particolare significato quello sul matrimonio felice. Considerata la condiscendenza del promesso sposo, la santa può venire invocata infatti dai nubendi per avere un buon matrimonio.

(Autore: Mario Benatti - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Orsola e Compagne, pregate per noi.

*Beato Piero Capucci - Domenicano (21 ottobre)

Città di Castello, 1390 - ? 1445
Si offrì a Dio fin dalla giovinezza, entrando a quindici anni nel convento di Città di Castello, sua città natale.
Studiò a Cortona, forse a Fiesole e a Foligno, avendo come condiscepolo Sant' Antonino. Fu religioso osservante e predicatore genuino, come li voleva San Domenico: nutrito alla meditazione dei misteri e formato nella penitenza, alieno da ricercatezze e leziosità, annunciatore convinto ed efficace della Parola di Dio.
Nella sua meditazione e nella sua predicazione insisteva particolarmente sui "novissimi". Morì nel convento di San Domenico di Cortona.
Martirologio Romano: A Cortona in Toscana, Beato Pietro Capucci, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che, meditando sulla morte, guidò se stesso alle realtà celesti e nella sua attività di predicazione esortò i fedeli a non cadere nella morte eterna.
Pietro Capucci nacque a Città di Castello nel 1390 da antica e nobile famiglia. Sentì presto la vocazione religiosa e, quindicenne, entrò nella fiorente comunità domenicana della sua città. Esemplare per costumi e impegno, venne ammesso dopo un anno alla professione dei voti religiosi. Proseguì quindi gli studi nell’importante convento di Cortona che, fondato nel 1230, fu tra i più solerti nell’aderire al movimento dei beati Giovanni Dominici e Raimondo da Capua per portare l’Ordine alla primitiva osservanza. Il Beato Lorenzo da Ripafratta, che aveva seguito spiritualmente il giovane Pietro, era il maestro dei novizi pure di sant’Antonino Pierozzi e del beato Angelico. Mirabile incontro di santi!
Frate Pietro si distinse per uno zelo religioso davvero singolare. Digiunava, faceva penitenze, riduceva il sonno al minimo, amava la Sacra Scrittura, tenendo in disprezzo i beni del mondo. Certamente in questo influì una vicenda occorsa in Cortona in quegli anni: la tragedia di palazzo Casali. L’11 ottobre 1407 il governatore della città venne barbaramente assassinato dal nipote che gettò dalla finestra, tra la folla inorridita, il corpo insanguinato. Tra i beneficiati della città che piansero il governatore vi erano anche i domenicani che dovettero trasferirsi nel convento di Fiesole. Sant’Antonino narrò il nefasto evento nelle sue cronache.
Per la Chiesa erano i tempi difficili e tristi dello scisma avignonese. A Pisa, nel 1409, fu eletto l’antipapa Alessandro V, mentre Cortona veniva occupata dal re di Napoli Ladislao che fece, tra l’altro, imprigionare il sanguinario assassino del governatore. Pietro e compagni si trasferirono nella tranquilla Foligno, in territorio dipendente dal Papa (Gregorio XIII) e lì stettero circa sei anni, durante i quali il Capucci fu ordinato sacerdote ed ebbe modo di mettere in pratica l’amore verso il prossimo. Assistette infatti i contagiati di un’epidemia, unendo al soccorso materiale quello
spirituale, verso gli infelici, tra cui alcuni confratelli, che in quella circostanza persero la vita. Riaperto il convento di Cortona, vi fecero ritorno Frate Pietro, il Pierozzi e il Beato Angelico.
Il nostro beato vi resterà per tutta la vita, i due compagni scriveranno in altri conventi pagine indelebili per la storia dell’Ordine e realizzeranno opere d’arte oggi patrimonio dell’umanità.
Il Beato Pietro cercò la perfezione evangelica per tutta la vita, senza mezze misure. La sua umiltà era d’esempio ai confratelli e quando si rese necessaria la costruzione di una nuova chiesa, egli, il dotto frate di origine nobile, si fece questuante per le strade della città, conquistando stima e affetto. Il suo apostolato fu generoso e fecondo. Fu padre, maestro e consigliere apprezzato in tutto il territorio di Cortona.
In quegli anni Bernardino da Siena saliva in città per predicare e diverse volte il nostro beato ebbe la gioia di incontrarlo. Frate Pietro ebbe come tema ricorrente delle sue omelie i “novissimi”, a quei tempi molto venerati. Portando con sé un teschio, parlavadella morte, non per incutere terrore, ma per spronare quanti vivevano lontani dalla fede. Iniziava il lavoro di conversione dal pulpito, per concluderlo poi nel confessionale. Al capezzale dei malati portava soccorso e conforto e cominciarono a fiorire sui suoi passi i miracoli: conversioni di peccatori incalliti, guarigioni (il braccio paralizzato di una donna), la salvezza per due condannati a morte.
Avrebbe potuto raggiungere incarichi importanti, ma per umiltà preferì vivere soprattutto di preghiera. La sua carica maggiore la condivise nel priorato con s. Antonino Pierozzi e alla loro fattiva collaborazione si deve l’erezione della monumentale chiesa che ancora oggi a Cortona possiamo ammirare. Raccolse personalmente offerte, aiuti e un sussidio da Papa Eugenio IV. Commissionò all’amico beato Angelico la stupenda pala dell’Annunciazione e la lunetta sopra il portale d’ingresso dell’edificio. Nel 1438 ottenne da Cosimo de’ Medici la pala dell’altare maggiore del convento di San Marco di Firenze.
Dopo breve malattia, tra il compianto dei confratelli e di tutta Cortona, spirò il 21 ottobre 1445 a cinquantacinque anni, di cui quaranta vissuti da religioso.
Il corpo fu posto nella sala capitolare ma, secondo la consuetudine, nella terra, senza imbalsamazioni. Si commissionò però un ritratto. Dopo circa settant’anni, perdurando la fama di
santità, si riesumarono le ossa per collocarle in un’urna su cui vennero dipinti fatti e miracoli salienti della sua vita, da Tommaso Bernabei, detto Papascello, allievo di Signorelli. Nel 1597 si rinnovò l’urna, conservando però le antiche tavolette del Papascello.
Nel 1746 una nuova cassetta raccolse le reliquie che per l’occasione furono portate in processione solenne per la città. Nel 1786, quando i frati vennero espulsi dal convento, le spoglie, su interessamento del duca di Parma Ferdinando I Borbone, Infante di Spagna, furono portate a Colorno.
Il duca era un suo grande devoto. Nel 1814 le spoglie tornarono a Cortona, nella chiesa di s. Domenico, che era anche parrocchia.
Sono ora poste nella mensa dell’altare maggiore, sotto il polittico di Lorenzo di Niccolò che proprio il beato aveva fatto giungere in chiesa. Il 16 maggio 1816 Papa Pio VII confermò il culto “ab immemorabili”. Appena conclusa la Seconda Guerra mondiale, la sera del 21 ottobre nel 1945, l’urna con il corpo del Beato fu portata in solenne processione per le strade della città.
(Autore: Daniele Bolognini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Piero Capucci, pregate per noi.

*San Pietro Yu Tae-ch’ol - Giovane Martire (21 ottobre)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Santi Martiri Coreani” (Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e 101 compagni)

Ipjeong, Corea del Sud, 1826 – Seoul, Corea del Sud, 21 ottobre 1839

Martirologio Romano: A Seul in Corea, San Pietro Yu Tae-ch’ol, martire, che, a tredici anni, esortò nel carcere i compagni di prigionia a sopportare i supplizi e, dopo essere stato crudelmente fustigato, portò a termine il suo martirio per strangolamento.
Sin dai primi secoli è sempre stato assai difficile reperire notizie certe sui martiri in quanto, pur costituendo essi la più importante schiera di Santi, i cristiani non hanno forse mai ritenuto più di tanto opportuno tramandare inutili dettagli circa la loro esistenza terrena, quanto piuttosto porre in dovuto risalto l’estrema testimonianza della fede cristiana sino all’effusione del loro sangue.
Questo problema sussiste però talvolta anche per martiri dell’epoca moderna soprattutto se vissuti in qualche angolo sperduto del pianete, parlando da europei, e magari uccisi in giovane età. É questo infatti il caso del Santo oggi festeggiato, Pietro Yu Tae-ch’ol, di nazionalità coreana ed ucciso appena tredicenne.
Paolo nacque nel 1826 ad Ipjeong, nei pressi di Seoul.
All’età di soli tredicianni, forse neppure compiuti visto che ignoriamo il giorno esatto della nascita, fu imprigionato a Seoul dai nemici della fede cristiana.
Durante il periodo trascorso in carcere non mancò mai di esortare i compagni di prigionia a sopportare i numerosi supplizi cui erano sottoposti. Patite anch’egli numerose sofferenze, portò a
compimento il martirio per strangolamento.
Pietro Yu Tae-ch’ol fu beatificato il 5 luglio 1925 ed infine canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 6 maggio 1984 con altri 102 martiri che avevano irrorato con il loro sangue la sua patria coreana.
Il gruppo, noto con il nome “Santi Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e compagni”, è festeggiato comunemente dal calendario liturgico latino al 20 settembre.
Il piccolo martire Pietro Yu Tae-ch’ol è inoltre commemorato singolarmente nel Martirologio Romano al 21 ottobre, anniversario del martirio.
L’estrema testimonianza di questo ragazzo può costituire un eloquente modello in questa società impregnata di relativismo in cui il cristianesimo è ormai per tanti giovani una voce scomoda fra tante, Cristo un qualcuno per cui non merita dare la vita.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pietro Yu Tae-ch’ol, pregate per noi.

*Beato Ponzio de Clariana - Mercedario (21 ottobre)

Entrato nell'Ordine Mercedario fra i cavalieri laici, il Beato Ponzio de Clariana, si rese famoso per molte virtù della vita e imprese.Colmo di meriti terminò i suoi giorni nel convento di Sant'Antonio Abate in Tarragona (Spagna).
L'Ordine lo festeggia il 21 ottobre.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Ponzio de Clariana, pregate per noi.

*Beati Raimondo e Guglielmo da Granada - Mercedari (21 ottobre)

Questi validi mercedari, Beati Raimondo e Guglielmo da Granada, redentori, si offrirono spontaneamente al pericolo esponendo le loro vite senza temere per la difesa dei cristiani. Tuttavia morirono confessori testimoniando la fede cattolica verso l'unico e vero Dio.
L'Ordine lo festeggia il 21 ottobre.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Raimondo e Guglielmo da Granada, pregate per noi.

*Beato Sancio d’Aragona - Arcivescovo di Toledo, Martire (21 ottobre)

1238 - 1275
Quarto figlio del Beato Giacomo I°, Re d’Aragona, il Beato Sancio, nacque nel 1238. Disprezzando la sede regale per cercare di seguire solamente Cristo, entrò nell’Ordine Mercedario ricevendo l’abito dalle mani di San Pietro Nolasco.
Nominato arcivescovo di Toledo fu in seguito preso dai saraceni i quali in odio alla fede in Cristo prima gli troncarono la mano destra che portava l’anello poi lo pugnalarono alla gola.
Glorioso raggiunse in cielo la lunga schiera dei martiri nell’anno 1275.
L’Ordine lo festeggia il 21 ottobre.

(Autore: Alberto Boccali - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Sancio d’Aragona, pregate per noi.

*Beato Segundo Alonso González - Padre di famiglia, Martire (21 ottobre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli di Nembra - Celebrazioni singole (21 ottobre)
"Santi, Beati e Servi di Dio" Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Cabo, Spagna, 13 maggio 1888 – Nembra, Spagna, 21 ottobre 1936
Segundo Alonso González fu prima contadino, poi minatore e falegname, per mantenere la sua numerosa famiglia. Rivestì molti incarichi di responsabilità nelle confraternite e nelle associazioni cattoliche di cui fece parte.
Imprigionato durante la guerra civile spagnola, mantenne un atteggiamento coraggioso nonostante le torture e le percosse. Temporaneamente liberato, fu di nuovo messo in prigione. Trasportato nella chiesa di San Giacomo apostolo a Nembra, la sua parrocchia, fu raggiunto dapprima dal suo amico Isidro Fernández Cordero, poi dal parroco don Genaro Fueyo Castañón.
Tutti e tre furono quindi uccisi a colpi di coltello il 21 ottobre 2016; Isidro aveva 33 anni. Insieme ai suoi compagni e al giovane Antonio González Alonso, è stato beatificato nella cattedrale di Oviedo l’8 ottobre 2016. La sua memoria liturgica per la diocesi di Oviedo cade il 21 ottobre, giorno della sua nascita al Cielo.
Famiglia, lavoro e devozione
Segundo Alonso González nacque il 13 maggio 1888 a Cabo, presso Nembra, parte della Comunità autonoma delle Asturie, in Spagna. Era il penultimo dei sei figli nati da Manuel Alonso e Isabel González, che vivevano di quanto guadagnavano tramite l’agricoltura e l’allevamento del bestiame. Tre dei suoi fratelli furono religiosi; due di essi entrarono nell’Ordine Domenicano e furono missionari in Indocina.
A ventitré anni, il 21 ottobre 1911, Segundo sposò María Lobo Alonso, dalla quale ebbe dodici figli: sette sopravvissero all’infanzia e due divennero sacerdoti. Inizialmente lavorò nei campi, ma si vide costretto a lavorare come minatore per l’aumentare dei figli; in più, compiva opere di falegnameria. Rimase vedovo nel 1926, quando la moglie morì nel dare alla luce l’ultima nata, María, che non le sopravvisse. Due anni dopo sposò quindi María Suárez González.
Era molto religioso e rivestì incarichi di rilievo nelle associazioni e nelle confraternite di cui fece parte: responsabile (“mayordomo”) della cappella di San Domenico di Guzmán a Enfistiella,
presidente dell’associazione dell’Adorazione Eucaristica notturna, della confraternita del Rosario e del sindacato cattolico dei minatori.
Catturato con false accuse
Quando scoppiò la guerra civile spagnola, con la conseguente persecuzione religiosa, rischiò la vita, ma non volle fuggire. Al figlio Luis, che lo rimproverò per non essere scappato a Leon, ribatté: «Non ho fatto nulla di male, quindi non ho nulla da temere; qui non verranno a cercarmi». Invece, alla fine, fu catturato: era ritenuto un “pezzo grosso” per le sue responsabilità, quindi i suoi persecutori non volevano lasciarselo scappare.
Nel corso di un lungo interrogatorio, cercarono di estorcergli, anche con le percosse informazioni sul nascondiglio di armi, di oggetti religiosi e di persone che reputavano pericolose. Segundo non rispose, semplicemente perché la sede dell’Adorazione notturna non era un deposito di armi.
Prigionia e liberazione momentanea
Venne quindi incarcerato nella Sala di Guardia dell’Adorazione Notturna, che si trovava al secondo piano di un edificio vicino alla casa parrocchiale. A quanti vi erano già rinchiusi, Segundo parlò così: «Molte volte abbiamo trascorso qui la notte per il turno di veglia davanti al Santissimo Sacramento; dato che ora non possiamo farlo, recitiamo il Rosario e facciamo un sincero atto di contrizione mettendoci nelle mani di Dio, dato che qualcuno di noi può avere i giorni contati».
Nel periodo di prigionia venne più volte maltrattato e torturato. Verso la fine di luglio, insieme ai suoi compagni, venne liberato, ma provvisoriamente: i carcerieri li avvisarono che avrebbero dovuto presentarsi ogni volta che fosse loro richiesto, altrimenti le loro famiglie avrebbero pagato le conseguenze.
Il coraggio e la preghiera
Di fatto già la sera dell’11 agosto 1936 venne nuovamente prelevato e condotto in carcere, per un ulteriore periodo di interrogatori, derisioni, scherni verso di lui e la sua fede. I sopravvissuti hanno raccontato che Segundo, nonostante le bastonate, pregava ancora più intensamente.
Spesso, poi, lo si vedeva scrivere qualcosa su un foglietto di carta, che nascondeva accuratamente tra i cardini di una finestra. Il biglietto è andato perduto, ma qualcuno riuscì a leggerlo: conteneva una formula per la Comunione spirituale.
Il martirio
Venne estratto dalla prigione per essere condotto nella chiesa di San Giacomo, dove, la notte del 20 ottobre 1936, fu raggiunto da un suo amico, anche lui socio dell’Adorazione notturna: Isidro Fernández Cordero, di 33 anni.
Quando vennero costretti a scavare le loro stesse sepolture, scelsero il posto dove abitualmente partecipavano alla Messa, vicino all’altare dei Santi Martiri.
Non vollero che il parroco don Genaro Fueyo Castanón, che la notte successiva fu trasportato anche lui in chiesa, preparasse la propria fossa, dato che era molto anziano: l’aprirono di fronte all’altare maggiore.
Isidro e Segundo furono confortati fino alla fine dal loro parroco, che aveva chiesto di essere l’ultimo a morire proprio per impartire agli altri l’ultima assoluzione. Infine, tutti e tre vennero uccisi a coltellate e gettati nelle loro fosse. Segundo aveva 48 anni: proprio quel giorno, il 21 ottobre, cadeva il venticinquesimo anniversario del suo primo matrimonio.
Un anno dopo l’accaduto, i corpi dei tre furono recuperati e riconosciuti, perché praticamente incorrotti, dai rispettivi familiari.
La causa di beatificazione
La causa di beatificazione di Segundo e dei suoi due compagni, cui è stato unito il giovane Antonio González Alonso, ucciso l’11 settembre 1936, si è svolta nella diocesi di Oviedo, ottenuto il nulla osta da parte della Santa Sede l’11 marzo 1997. L’inchiesta diocesana è stata convalidata il 26 aprile 2002, mentre la “Positio super martyrio” è stata consegnata nel 2007.
Il 21 gennaio 2016, ricevendo in udienza il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinal Angelo Amato, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui la morte di don Genaro e di Segundo, Isidro e Antonio era dichiarata martirio in odio alla fede cattolica.
La loro beatificazione si è svolta nella cattedrale di Oviedo l’8 ottobre 2016, prima celebrazione del genere nel territorio diocesano, presieduta dal cardinal Amato come delegato del Santo Padre. La memoria liturgica, per la diocesi di Oviedo, è stata fissata al 21 ottobre, giorno della nascita al Cielo della maggior parte di questi martiri.

(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Segundo Alonso González, pregate per noi.

*San Severino di Bordeaux - Vescovo (21 ottobre)

Martirologio Romano:
A Bordeaux in Aquitania, ora in Francia, San Severino, vescovo, che, venuto dall’Oriente, fu accolto con onore dal vescovo Sant’Amando, che lo volle suo successore.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Severino di Bordeaux, pregate per noi.

*San Vendelino - Eremita (21 ottobre)

Irlanda, VI secolo – Germania, VII secolo
Martirologio Romano: Nei pressi di Treviri in Austrasia, nel territorio dell’odierna Germania, san Vendelino, eremita.
Una leggenda irlandese tramanda che sarebbe stato un monaco, ma di questo non ci sono conferme.
Si sa invece che, tra il 561 e il 565, è arrivato in Germania, nell’allora vastissima diocesi di Treviri, una delle più antiche d’Europa, guidata in quel periodo dal Vescovo Magnerico. Ci sono poi alcuni accenni sulla sua figura in una vita di san Magno, abate di un monastero bavarese, morto nell’VIII secolo.
Altro, nulla; o quasi. Esistono quattro biografie, due in latino e due in tedesco, ma sono state scritte otto o nove secoli dopo la sua morte, restando inattendibili; prima di tutto a causa della loro genericità: affermano cose che vanno bene per tantissimi Santi, e non contengono riscontri del tempo in cui Vendelino è vissuto; e poi,
generalmente il racconto della vita di un Santo  ne sostiene e rafforza la venerazione, invece in quei documenti è quasi l’opposto.
Ma c’è un elemento fondamentale e inequivocabile che «parla» di Vendelino e che dimostra la sua santità: è la devozione spontanea per lui. Si è diffusa subito dopo la morte, e poi di secolo in secolo, e verrà consacrata ufficialmente nel 1450 da papa Nicolò V.
Il culto di Vendelino ci dice che questo irlandese emigrato in Germania è stato un eremita, e soprattutto un santo «agricolo», al quale sono state dedicate centinaia di cappelle e chiesette nelle campagne, in varie parti del continente europeo: in particolare nella regione francese dei Vosgi, nella Saar e in Baviera. I pastori, i raccolti e il bestiame sono affidati alla sua protezione.

(Autore: Domenico Agasso Jr. - Fonte: Vatican Insider)

Giaculatoria - San Vendelino, pregate per noi.

*San Viatore di Lione - Monaco in Egitto (21 ottobre)

Martirologio Romano: A Lione ancora in Francia, commemorazione di San Viatore, lettore, che, discepolo e ministro di San Giusto vescovo di Lione, lo seguì nella vita eremitica in Egitto e nella morte.
Lettore della chiesa di Lione, accompagnò San Giusto vescovo della stessa città, quando si trasferì nei deserti dell'Egitto.
Morì alcuni giorni dopo il suo maestro. Il Martirologio Geronimiano lo ricorda alla data del 21 ottobre con queste parole: «Lugduno Galliae Iusti et beati Viatoris pueri discipuli sancti Iusti episcopi».
E passato nel Martirologio Romano allo stesso giorno. Il corpo fu riportato a Lione assieme con quello di San Giusto e deposto nella chiesa dei Maccabei, intitolata più tardi a San Giusto. Verso il 1830 Luigi Querbes (m. 1859) fondò una congregazione di missionari e di educatori che pose sotto il patrocinio di San Viatore.

(Autore: Filippo Caraffa - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Viatore di Lione, pregate per noi.

*Santa Zaira - Martire (21 ottobre)

Spagna sec. X ?
Le notizie su santa Zaira sono veramente poche, anzi quasi nulle; non è citata nei testi ufficiali della Chiesa, forse lo era in qualche edizione precedente del ‘Martyrologium Romanum’ che dal Cinquecento, quando fu fatta la prima stesura, ha avuto vari aggiornamenti.
Comunque in un catalogo odierno degli onomastici, essa viene citata come martirizzata in Spagna, durante l’occupazione dei Mori e ricordata il 21 ottobre.
Altro sulla figura di questa santa non si sa, ma facendo qualche riflessione possiamo dedurre che deve perlomeno essere esistita. Il nome deriva dall’arabo Zahirah e significa “la rosa” e ricorre spesso nella letteratura orientale, anche nella forma Zara.
In Spagna l’occupazione dei Mori musulmani, che durò dal 711 fino al 1212 per buona parte della Spagna, cadendo completamente solo nel 1492 con la perdita di Granada; provocò una nutrita persecuzione religiosa contro i cristiani preesistenti e le loro Istituzioni, con lo scopo di imporre la religione musulmana, negli stati diventati islamici con la loro dominazione.
E in quel lungo periodo, in varie regioni spagnole, si ebbero molti martiri cristiani, i quali resistettero alle ingiunzioni, difendendo la fede cristiana, che grazie a loro non fu mai soppressa.
In quel periodo di convivenza forzata e di schiavitù dei cristiani, imbarcati e portati nei paesi arabi d’origine degli occupanti, parecchi arabi si convertirono al cristianesimo, cambiando il loro nome arabo in un nome cristiano; cito ad esempio San Bernardo di Alzira che si chiamava Hamed, San Maria di Alzira che si chiamava Zaida e Santa Grazia di Alzira che si chiamava Zoraide, fratelli, convertiti e diventati monaci poi martiri per mano dei parenti musulmani.
Come si vede in questo esempio, c’è una Zaida e una Zoraide, nomi arabi simili a Zaira, quindi è probabile che se fino a noi è arrivato il nome di una martire Zaira, essa probabilmente deve essere conosciuta anche con altro nome cristiano, che non si riesce ad abbinare, perché probabilmente si tratta di una convertita.
Altra riflessione è che il nome Zaira è stato l’ispiratore di opere letterarie e musicali che ebbero fortuna per tutto l’Ottocento, come la tragedia “Zaire” di François-Marie Voltaire (1694-1778), scritta nel 1763 e l’opera lirica omonima di Vincenzo Bellini (1801-1835).
La tragedia “Zaira” di Voltaire, è considerata la più riuscita opera drammatica del grande autore francese, animato da una sottile polemica contro l’intolleranza religiosa.
Il soggetto si rifà al periodo già citato dell’occupazione ed espansione musulmana in Europa, agli schiavi cristiani in Medio Oriente, ai tentativi di riscatto dei prigionieri da parte dei principi cristiani e di Ordini religiosi sorti per questo, come i Mercedari.
È probabile che Voltaire si sia rifatto alla martire Zaira per il suo soggetto, anche se non ambientato proprio in Spagna e con un contorno sociale di fantasia; vale la pena di raccontarne la trama. Prossima alle nozze con il valoroso Orosmane, soldano (sultano) di Gerusalemme, la bella schiava Zaira (cristiana) scopre d’essere sorella del cavaliere francese Nerestano, giunto in Medio Oriente per riscattare i prigionieri, e figlia del vecchio Lusignano, discendente dei principi cristiani di Gerusalemme, anch’egli tenuto come ostaggio dagli arabi, al quale promette di non tradire la fede cristiana. Rinvia perciò le nozze, tormentata dal conflitto tra amore e religione, cercando di trovare soluzione al suo dramma, in un colloquio con il fratello.
Ma Orosmane la scopre e sospettando in Nerestano un rivale, travolto dalla gelosia la pugnala; poi resosi conto dell’errore, si uccide a sua volta, dopo aver concesso la libertà a tutti i cristiani prigionieri.
Il finale è tipico dei drammi e melodrammi dell’Ottocento, ma l’opera ha avuto il pregio di lanciare e sostenere il nome Zaira, a ricordo di una lontana martire cristiana ad opera dei musulmani.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santa Zaira, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (21 ottobre)

*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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